mercoledì 27 dicembre 2017

PAGINE DI DIARIO / 22

Da “Per piacere non buttatemi via”, di Franca Santunione.



Franca Santunione, sulla sinistra, e Anna Teresa Morselli
fotografate sulle sponde del Panaro; anno 1951.



 Parte decima

[...] Gli anni passavano e tutto sembrava bello. Anche il lavoro era meno faticoso, non si lavorava più tante ore al giorno, così che di sera eravamo tutti meno stanchi. Passeggiavamo in lungo e in largo per il paese e non mancava mai la passeggiata sul ponte. Ci mettevamo sedute sul marciapiede dando sfogo a tutta la nostra euforia giovanile, cantando, ridendo e naturalmente parlando.
Siccome quella era l’età degli innamoramenti facili, i discorsi finivano sempre su questo argomento. Amori che nascevano e morivano da un giorno all’altro, e spesso a senso unico.
Io su questo argomento non avevo mai niente da dire; continuavo a non provare nessuna emozione per i ragazzi del paese, e non. Ma i non erano ancora pochi, perchè i ragazzi dei paesi vicini si spostavano con difficoltà. Andavano ancora quasi tutti a piedi o in bicicletta.
A onore del vero devo dire che neppure i ragazzi del paese smaniavano per me. Questa è sempre stata un’indifferenza reciproca. I ragazzi del paese non m’interessavano; non perchè fossero brutti, anzi, ma solo perchè avendoli conosciuti da sempre erano privi di mistero.
Io col passare degli anni ero migliorata: non ero più il brutto anatroccolo. Anche gli occhi erano andati a posto da soli, senza neanche l’aiuto degli occhiali. Solo se era brutto tempo, allora avevo un leggero sguardo di venere.
Questo era un modo di dire un po’ consolatorio ma serviva a non crearmi dei problemi.
Nell’attesa che arrivasse questo ragazzo speciale, continuavo a parlarne con mia madre descrivendo questo ragazzo come se dovesse passare la sua vita a guardarmi in adorazione, finché un giorno, stanca di sentirmi dire quelle che secondo lei erano delle farneticazioni, mi disse: «Senti figlia mia! So che gli uomini non sono tutti come tuo padre, ma un uomo come vuoi tu non esiste! Saresti già fortunata se ne trovassi uno che ti rispettasse!».
«Eppure, io sono sicura che da qualche parte c’è ».
«Può pure essere ... Il mondo è tanto grande, che vallo a trovare!».
«Oh, non io, è lui che mi deve trovare! ».
Presa dallo sconforto, mia madre mi disse: «Mah! Devi essere arrivata da un altro mondo, sembri proprio una vissuta su un altro pianeta». E se ne andò scuotendo la testa.
Questo dialogo si svolse un pomeriggio che eravamo sedute nel cortile, sotto casa.
Quell’espressione di sconforto e rassegnazione sul viso di mia madre mi aveva divertita, ma nello stesso tempo la guardai con tenerezza mentre si allontanava.

Erano ormai finiti anche gli anni dell’adolescenza e iniziavano quelli ancora più belli della gioventù.
Che tempi!!!
Sembrava di aver il mondo in mano. Noi, poi, eravamo la generazione che nell’età più bella godeva dei primi vantaggi del progresso. Ci vestivamo con vestiti più carini, andavamo al cinema quando ne avevamo voglia, e soprattutto il cibo non mancava (senza sprecarlo però).
Questa è un’altra ragione per cui sono contenta di essere nata nel 1936; ho avuto così l’età giusta per godere di queste piccole cose, ma che erano grandi soddisfazioni. Certo lavoravamo sodo per averle, ma c’era di bello che non dovevamo dire grazie a nessuno.
Penso che gli unici che hanno sentito meno questo cambiamento siano stati quelli ricchi, o anche solo i benestanti perchè possedevano già quello che al povero mancava da sempre. Il loro era un mondo a parte. Già da piccoli avevano la puzza sotto il naso; anche a scuola era religiosamente mantenuta questa distanza.
Pazienza, anche se questo faceva un po’ male. [...]


mercoledì 20 dicembre 2017

LE RECENSIONI DI NASCO / 5

"Dal Panaro al Piave"
di Cesare Cevolani,
Istituto Enciclopedico Settecani, 2016


(Disegno di Gustavo Cevolani per la copertina del volume)


Spilamberto non ha avuto morti nella prima guerra mondiale.
Questo afferma in modo sorprendente l’autore.
Sia di supremo conforto alla famiglia il sapere che il Reggimento, orgoglioso dei suoi valorosi soldati, scriverà nel proprio libro storico, a caratteri indelebili, il nome Suo; e lo additerà ai commilitoni come esempio fulgido di disciplina e di valore.
In questo modo si comunicava alla famiglia la scomparsa del proprio caro e non si parlava di morte. La retorica addomesticava i fatti.
Ciò che avveniva a Spilamberto rappresenta la modalità con cui in momenti storici particolari un uso del linguaggio nasconde gli avvenimenti, li trasforma in modo tendenzioso a scopi propagandistici.
Spilamberto diventa l’emblema di un costume più generale.
Questo uno dei meriti del libro: il riferimento puntuale delle vicende spilambertesi (una sineddoche, per dirla con l’autore) e il loro legame con quanto succede in Italia. Lo testimonia anche l’ampia bibliografia che comprende i risultati della più recente ricerca storica sull’argomento. Tale ricerca viene richiamata spesso come commento ai nodi storiografici via via incontrati.
Il volume di Cesare Cevolani, “Dal Panaro al Piave” (Spilamberto, Istituto Enc. Settecani, 2016), ricostruisce gli eventi che videro protagonisti Spilamberto e gli Spilambertesi durante gli anni della Prima Guerra Mondiale (1915-1918). Occorre precisare che non si tratta di un semplice collage cronachistico di fatti; i documenti vengono analizzati nei minimi particolari. Basti come esempio il telegramma di tre righe che troviamo all’inizio e la cui analisi si protrae per ben tre pagine (pp.19-21).
 La prima parte della ricerca è dedicata alle numerose trasformazioni di carattere sociale, economico e demografico che caratterizzano il paese: la guerra prima della guerra; il primo, secondo e terzo anno di guerra. La seconda parte vuole invece ripercorrere le storie dei soldati spilambertesi che parteciparono alla Grande Guerra, gli oltre 140 uomini caduti sui diversi fronti del conflitto; molti dei quali corredati di schede biografiche. Questi sono preceduti, tra l’altro, dell’incredibile paragrafo sui prigionieri. Segue il capitolo sui reduci, corredato da materiali forniti da spilambertesi relativi a genitori e nonni. Le testimonianze utilizzate per la ricostruzione provengono da varie fonti archivistiche, tra cui il ricco Archivio Storico del Comune di Spilamberto. Inoltre elementi di cultura orale e digitale: informazioni, storie e fotografie sono state raccolte parte “in Piazza”, chiacchierando e spargendo la voce tra le persone; parte via Internet utilizzando e-mail e “social network”. Ecco allora la sorprendente presenza di lettere, diari, che raccolgono vicende e microstorie dei protagonisti. Così pure la sorprendente galleria di ritratti che conclude un ricco apparato fotografico. Sono fotografie di spilambertesi, quasi tutte effettuate in studio e in posa, “volti di contadini, commercianti, operai che davanti alla macchina fotografica assumono l’aspetto fiero e marziale richiesto dal ruolo che stanno ricoprendo”.
Il libro si conclude con un utilissimo indice di nomi che ci permette di andare a scovare i nostri parenti e conoscenti. Lo stile di scrittura è chiaro, robusto, efficace.
Grazie all’autore Spilamberto è entrato a far parte della storia della Prima Guerra Mondiale.

venerdì 15 dicembre 2017

CARAMELLE DALL’ARCHIVIO / 47

Indovinelli spilambertesi, di Annarita Bianchini



1) Il suo amor gli provocò
    un destino assai fatale,
    ma sui muri tramandò
    ciò che ancor tu puoi trovare.

2) Se con noi tu vuoi giocare,
    dimmi: quanto siam alti dal mare?

3) La ritrovi sempre intatta,
    porta ben la sua età:
    fa da solida corazza
    contro quei che stan di là.

mercoledì 6 dicembre 2017

LA MEMORIA IN TAVOLA: LE RICETTE DI MARNA / 6

Pani neri di Natale di Antonietta



(Pastello di Cristina Grandi)



Seconda parte


[...] I “Pani di Natale” vanno preparati 10/15 giorni prima della ricorrenza.
Per tre pani neri occorrono:
500 gr. di farina per dolci setacciata con il lievito, 2 cucchiai di miele millefiori, 50 gr. di burro, 100 gr. di zucchero, 2 uova, doppia dose (due bustine di lievito chimico), 1 tazza piena di frutta secca (mandorle, noci, nocciole, arachidi) tritata grossolanamente a coltello, 3 fichi secchi tagliati a cubetti, 1 manciata di uvetta ammorbidita nel sassolino, sassolino, saba, frutta candita per guarnire.
Si impastano tutti gli ingredienti aggiungendo tanta saba quanto basta per ottenere un impasto molto morbido, quasi appiccicoso.
Imburrare 3 alti contenitori in alluminio da 20 cm. x 12, infarinarli bene e suddividervi l’impasto, guarnire con la frutta secca, metterli in forno preriscaldato a 200 °C con umidità all’interno, proseguendo a 180 °C per 45 minuti.
Appena tolti dal forno, spennellarli con una miscela in parti uguali di sassolino e saba.
Riporre i pani neri in luogo fresco e mantenerli morbidi spennellandoli nuovamente ogni tre/quattro giorni con il sassolino e la saba.
Solitamente un pane sparisce prima che arrivi il Natale, ma gli altri non mancano mai sulla tavola delle feste.
Alcuni anni fa sono tornata all’ex forno Baccolini, sono entrata, ho parlato del ricordo che avevo e mi hanno lasciato entrare nella zona dei forni: l’ambiente mi è sembrato piccolissimo!
«Avete modificato la stanza ?», ho chiesto.
«No», è stata la risposta.
Uscita in strada mi ha preso una nostalgica malinconia; il forno non era rimpicciolito, ero io che ero cresciuta.
La saba, per chi non la conosce, è un ingrediente molto noto dalle nostre parti; non è altro che mosto di uva fatto cuocere molto lentamente fino a quando non si è ridotto di un terzo. Per impedire che si attacchi sul fondo vi è l’usanza di aggiungere tre noci ben lavate. Per l’alta concentrazione zuccherina, che subisce durante la cottura, si conserva in recipienti con chiusura ermetica senza la necessità di una sterilizzazione.
Mia madre dice che quando era bambina con la saba condivano la polenta; io ricordo che versata in un bicchiere colmo di neve diventava una straordinaria granatina.
Mentre torno indietro nel tempo con la memoria, ricompaiono nel ricordo gli utensili della cucina: la stufa a legna, il fornello con la bombola a gas, “la giazarèina” poi “Lei”, il primo forno casalingo, la Petronilla. Era, questa, un tegame in alluminio, alto, rotondo, con un coperchio ermetico in parte di vetro per potere controllare l’interno; era dotata di un cavo elettrico e, una volta collegata alla
corrente, si scaldava e vi si potevano cuocere gli alimenti, soprattutto crostate e ciambelle.

Come sono cambiati i tempi! Mi sembra ieri, ma sono trascorsi cinquant’anni!