mercoledì 31 ottobre 2018

CARAMELLE DALL’ARCHIVIO / 58

In posa per un ricordo


(“Caramella” realizzata in occasione della celebrazione
in Spilamberto del 4 novembre 2018,
CENTENARIO DELLA Fine della “Grande Guerra”, 1915-1918)







In posa per un ricordo... ma di quale sapore?
Certo il conflitto che coinvolgerà per la prima volta vari Stati dell’intero globo era ancora lontano dalla “vecchia Spilamberto”, ma per i suoi abitanti i segnali erano già evidenti. L’Austria-Ungheria aveva dichiarato guerra alla Serbia nel luglio del 1914 e ne erano testimonianza le notizie riportate nei giornali, nelle lettere, nei telegrammi e nei dispacci prefettizi indirizzati all’Amministrazione comunale. Non vi era mobilitazione generale, ma molti ragazzi e capi famiglia venivano richiamati alla leva, poiché occorreva addestrarli per combattere, nonostante la dichiarata neutralità dell’Italia.
Altro indizio certo era l’arrivo in paese di reggimenti dell’esercito italiano; era d’obbligo ospitarli. Ciò avveniva nei luoghi pubblici, come le aule delle scuole elementari, il teatro, la filanda nel caso di soldati semplici, mentre i graduati trovavano collocazione nelle abitazioni private. Tali alloggi si rendevano disponibili per senso di responsabilità dei proprietari, ma anche in osservanza ad ordini del Sindaco.
Certo, tale dovuta accoglienza non era una novità per il paese: spesso vi transitavano, in tempi non sospetti, militari che dovevano raggiungere il poligono di tiro di Marano o Bazzano.
Quindi, perché non scattare in tutta tranquillità, e forse anche con orgoglio, una fotografia accanto a dei militi in divisa, ancora ben tenuti e non logorati da un conflitto che non si rivelerà breve come veniva prospettato dai “Grandi”?
Questo il “sapore” del ricordo, che sarebbe giunto a noi dalle mani di un discendente di quei bambini che, con molta serietà, posavano davanti ad un austero gruppo armato.
La mamma di Angelo Giusti aveva conservato e consegnato al figlio quello scatto fotografico, che ora ci rende testimonianza di quel momento. Una circostanza importante nel percorso del nostro passato.
Il clic del fotografo riprese i personaggi da via Santa Maria, nei pressi della casa del bambino seduto alla destra dell’immagine, Emilio Giusti, nato nel 1913; seguono alla sua destra Giuseppe Giusti (“Pippo”), nato nel 1904, ed in fine Luigi (“Gigetto”) nato nel 1907, padre di Angelo.
Interessante testimonianza materiale risulta lo sfondo: la muraglia di contenimento del “terraglio” che sosteneva il più alto muro centrale, elementi costitutivi della triplice cerchia di mura che da secoli circondava l’antico “Castello”.
Erano i resti dell’ultima parte della medievale struttura di difesa che verrà abbattuta nella zona sud-ovest proprio negli anni che seguirono immediatamente la fine di quella guerra. Nel lavoro di sterramento e demolizione furono impiegati molti ex soldati che, tornati dal fronte, si trovarono soffocati da miseria e disperazione date dall’estrema scarsità di lavoro e di cibo, insieme a malattie debilitanti e spesso mortali.
Ci si impegnava per la “rinascita”, ma nel cuore pulsavano ancora le voci e gli affetti di chi non era più tornato: profonde assenze difficilmente colmabili.

mercoledì 24 ottobre 2018

CARAMELLE DALL’ARCHIVIO / 57


TENERE LA DESTRA E NON PARLARE AL TELEFONINO



(Parete sud della Chiesa del Carmine)


 “SPILAMBERTO, TENERE LA DESTRA, SORPASSARE A SINISTRA”.
Ci riporta ai primi decenni del ‘900 l’iscrizione sul cotto della parete sud della chiesa del Carmine, che, allora e per molti secoli prima, si trovava all’ingresso dell’abitato.
Ma qual è la data esatta dell’iscrizione?
A noi quell’indicazione così perentoria sembra banale e fuori dal tempo; il nostro problema attuale è il traffico, aumentato su questa strada, la velocità eccessiva di molte auto, il rombo quotidiano di qualche moto lanciata come per competizione.
Dobbiamo però pensare all’imbarazzo creato dalle automobili agli inizi del secolo scorso, allora una novità. È questo imbarazzo che ci accomuna a quella scritta; ad esempio l’introduzione delle rotonde ci reca ancora qualche esitazione al loro ingresso.
A quei tempi le novità erano le macchine e l’esigenza di fornire agli automobilisti norme per la circolazione; pensiamo oggi alla necessità di regole, determinata dall’uso del telefonino durante la guida.
Ma quando è stata posta l’iscrizione che, pur degradata, si legge ancora?
Non ne siamo sicuri, due elementi ci aiutano a formulare un’ipotesi.
L’abbattimento del porticato addossato alla facciata della chiesa del Carmine, ancora visibile in alcune fotografie, è stato deciso sicuramente per le nuove esigenze del traffico e risale al 1935. È del periodo anche il “Regio Decreto” in cui venivano fissate e rese obbligatorie le “norme per la tutela delle strade e per la circolazione”; era il 1933 e portava la firma dei ministri Ciano e Di Crollanza.
Possiamo raggiungere la certezza che la scritta risalga a questo periodo e accantonare l’ipotesi?
Probabilmente sì, “facendo appello” a ciò che ancora ci può testimoniare l’antico Archivio Comunale: la ricerca può iniziare recandoci a Vignola, dove ormai da tre anni è depositata la “memoria scritta di Spilamberto”.

venerdì 19 ottobre 2018

POLVERE D’ARCHIVIO, POLVERE DA SPARO / 2

Spilamberto 1781. Dentro la fabbrica della polvere: il “pistrino”.


Pianta della fabbrica del pistrino S. Angelo,
riedificato nel 1781, in luogo di quello di S. Barbara nel territorio di Spilamberto.
Nell’acquerello, originale dell’epoca, si notano i due fusi e le ruote motrici immerse nel canale.



Entriamo nel “pistrino” S. Angelo costruito nel 1781. Si tratta di un mulino a pestelli che si muovono utilizzando la spinta dell’acqua. La polvere da sparo prodotta allora a Spilamberto era composta macinando salnitro (nitrato di potassio), zolfo e carbone vegetale (ottenuto da bacchette di nocciolo, salice o canapa). Tre erano i tipi di polvere lavorati: quella ordinaria da munizione, quella fina da fucile e quella lustra.
La fabbrica appoggiata a sud sopra uno dei muri del canale, è lunga m. 12,25 e larga m. 7,60, alta m. 7,3 nel centro e m. 5 ai lati. I muri sono di 4 teste in basso e di una sola testa fino al tetto. Alcuni pilastrelli sostengono 4 travi su cui vi sono leggere tavole di pioppo che reggono il tetto. Tutto è pensato per scaricare verso l’alto la forza di una possibile esplosione. Si entra in questa fabbrica per due porte e nel disegno si notano distintamente due scalette che portano al piano interrato; vi sono 6 finestre e il selciato è di mattoni.
Il mulino è montato al piano interrato. Due sono i fusi (alberi motore) rotondi, in rovere lunghi uno 8 metri, l’altro 7,5. Ciascuna delle macchine ha 8 buche scavate in un asse: sono i mortai in cui viene posto il preparato da pestare. Tre assi, non presenti nel disegno, sostengono il telaio nel quale passano gli 8 pestelli fatti di sorbo di circa 3 metri, con la testa di bronzo che macina il preparato, mantenuto sempre umido, con 45 colpi al minuto; ogni fuso ha delle leve che girando sollevano quelle corrispettive dei pestelli e ne determinano il moto.
I fusi sono collegati a due ruote immerse nel canale, come si vede dall’illustrazione; di questo utilizzano la forza motrice. Sul canale vi sono tre paratoie due delle quali aprono il passaggio all’acqua che sopra “le canale” viene portata alle due ruote delle macchine del pistrino, la terza con uno sfioratore serve a regolare l’acqua medesima.
Nell’edificio vi è un banco dove il composto macinato e ancora umido delle polveri viene granito con un setaccio, cioè ridotto in grani. Il banco permette poi agli operai di effettuare la granitura tenendo sempre sotto sorveglianza i macchinari, riducendo così la possibilità di incidenti. In un altro disegno si distingue una botte, collegata a uno dei fusi, riempita con i grani della polvere utilizza il moto per lustrarli, cioè per ridurne le asperità e raffinare il prodotto.
Si possono osservare alcune innovazioni già presenti nel pistrino S. Carlo costruito nel 1771; esse vengono illustrate nel 1772 da una relazione dell’ingegnere Giardini, incaricato di collaudare l’impianto: “Il moto regolare delle macchine, l’impasto sempre umido, l’ampiezza del fabbricato e l’imbrigliamento dei salnitri, col doversi intrattenere continuamente nel pistrino per granire le polveri, sono provvedimenti validissimi per non dover temere le accensioni avvenute con troppa frequenza…”.
All’esterno dell’edificio il pittore Caselgrandi ha rappresentato la figura di S. Angelo (alto 2 m.) come custode e protettore del “pistrino”.

mercoledì 10 ottobre 2018

PAGINE DI DIARIO / 29

Da “Per piacere non buttatemi via”, di Franca Santunione.

Parte tredicesima


(Luogo in cui nel passato si trovava il ballo all’aperto dove Franca conobbe il “suo Piero”
- angolo via San Giovanni e strada che porta sul ponte di Spilamberto-)



[...] Lo guardai, e invece di rispondere al suo saluto, mi chiedevo chi fosse, così lui continuò: «Sono uno dei ragazzi che ha ospitato la sua amica, la quale ha spiegato la ragione per cui lei non è voluta venire; allora mi sono permesso di venire io ad invitarla».
Imbarazzatissima, risposi : «La ringrazio ma ho deciso d’uscire».
«Se lei fa questo mi costringe a seguirla! perché io non so lei chi è, né come si chiama, né dove abita. Ma so una cosa... non voglio perderla!».
Avevo udito una cosa così incredibilmente esagerata che avrei dovuto rispondere: «Ma come le va di fare lo spiritoso!».
Invece scoppiai a ridere, dicendo: «Oh santo cielo! Questo non mi era ancora capitato!».
Non si scompose. Piegò leggermente la testa sulla spalla destra e guardandomi la bocca disse: «Una bella ragazza così non poteva non avere anche un bel sorriso!».
Questo mi colpì perché lo disse con un filo di voce come se parlasse a se stesso, così che risposi: «Beh, questo è troppo! Sono quasi costretta ad accettare il suo invito!». Mi ringraziò e andammo verso il tavolino. Lì giunti, ci furono le presentazioni. Il ragazzo ch’era venuto ad invitarmi disse che senza tanti incrociamenti di mani ognuno doveva dire il proprio nome.
Trovai la cosa un po’ strana, ma anche simpatica, in fondo eravamo tutti ragazzi e non c’era bisogno di tante cerimonie. (Venni a sapere la sera dopo che la ragione di questa strana presentazione era dovuta al fatto che uno dei ragazzi aveva un principio d’eczema nelle mani).
Il ragazzo che mi aveva invitato si chiamava Pierluigi ma veniva chiamato Piero ed era molto simpatico.
Anche gli altri ragazzi erano carini come aspetto, e di modi gentili, ma per me il migliore era Piero. Anche perché aveva una buona dialettica, e per di più essendo di Roma parlava con delle espressioni romanesche.
Sembrava di ascoltare Alberto Sordi!
In questo locale non si bevevano alcolici così che il tavolo era pieno di bevande tipo aranciata, gazzosa, chinotto ecc. Non so quanto ho bevuto, perché Piero riempiva di continuo il suo e il mio bicchiere, perché diceva che dovevamo brindare. Non volevo bere troppo, anche perché non avevo sete, ed ad ogni cin cin mi limitavo a sorseggiare,  ma Piero disse che quando si brinda si deve vuotare tutto il bicchiere. Quando non ce la feci più, gli chiesi perché dovevamo fare tutti quei brindisi?
Essendo seduto di fronte a me, si alzò, spostò bottiglie e bicchieri e si piegò verso di me; quando fu a pochi centimetri del mio viso, disse che dovevamo brindare perché quella era una serata speciale.
«Speciale per chi?» dissi io, facendo un po’ la civetta.
«Per me» disse «ma spero lo sia anche per te!».
Feci un sorriso e non dissi niente. Continuava a guardarmi come se avesse davanti a sé l’ottava meraviglia del mondo.
Questo fece sì che lo trovassi sempre più simpatico.
Quando mi chiese di ballare gli dissi di no prendendo come scusa che la pista era troppo affollata, ma era solo perché se fosse entrato Marco difficilmente mi avrebbe vista se rimanevo seduta, in quanto eravamo in un angolo un po’ nascosto e per di più il locale era illuminato con luci fioche... sembravano i lampioncini cinesi.
Ogni tanto mi veniva in mente Marco, ma questo pensiero svaniva subito: ero troppo presa da questa situazione... mi stavo divertendo troppo.
Era la prima volta, dopo tanto tempo, che dei ragazzi non mi annoiavamo.
Arrivò mezzanotte, l’orchestra smise di suonare, e le persone incominciarono a lasciare il locale. Quando furono usciti quasi tutti, ci alzammo anche noi. Questo fu per me un momento tragico. Come mi fui alzata in piedi, credo d’aver avuto un attacco di cistite acuta. (Una cosa mai capitata prima né mai più capitata dopo).
Era forse stata tutta quella robaccia che avevo bevuto.
Ad ogni modo non potevo dire a dei ragazzi appena conosciuti che dovevo andare di corsa al bagno (non l’avrei detto neanche se fossero stati amici da una vita).
Nello stato di sofferenza in cui ero, ho detto tutto d’un fiato: «Buonanotte buonanotte  buonanotte»  e mi  misi a correre verso l’uscita e corsi per tutta la strada, per fortuna che abitavo a non più di 150 metri.
Arrivata a casa ho sofferto per non so quanti minuti finché non sono riuscita a fare tutta la pipi, poi me ne andai a dormire.
Non posso dire se ero felice oppure no, di sicuro non ero triste; ero solo dispiaciuta per la figuraccia che avevo fatto [...]

mercoledì 3 ottobre 2018

CARAMELLE DALL’ARCHIVIO / 58

Indovinelli spilambertesi
di Annarita Bianchini



14) Ha un inizio un po’ indeciso,
       e un finale un po’ ghiaioso:
       è in pendenza, è asfaltata,
      da un canale è attraversata.

15) Sta tra Modena e Vignola
       senza muoversi di qua:
       non ha un nome di persona
       e nemmeno di città.

16) Questa è un costruzione,
       con negozi e appartamenti,
       ha uno strano soprannome,
       ma... gl’inquilini son contenti?

17) Lui ci dà l’appuntamento
       ogni sette giorni esatti:
       c’è di gente un gran fermento
       e son tutti soddisfatti.

18) Da tempo non svolge l’antica funzione:
       ma immobili restan tre mezze persone...

CARAMELLE DALL’ARCHIVIO / 57

SPILAMBERTO... PARIGI


(Ambrogio Lorenzetti, affresco, “Effetti del Buon Governo”
- particolare - , 1337-39, Palazzo Pubblico, Siena)


Sono trascorse tre settimane da quando abbiamo voluto raccontarvi con quali ordini, e precisa determinazione, la marchesa Bianca Rangoni volesse rendere igienicamente vivibile e piacevolmente accogliente la “sua Spilamberto”. A realizzare questo intento contribuivano i “Giudici delle strade” che, nominati dall’Amministrazione del sopravvissuto “Comune medievale”, avevano facoltà di decidere quando fosse necessario riparare le strade, “fare accomodare ogni possibile guasto”.
Era questo il concretizzarsi di un governo gestito in una sorta di connubio tra poteri signorili e poteri del popolo, al fine di regolamentare in modo accorto e proficuamente il territorio.
Certo un “Castello” come quello di Spilamberto, limitato per estensione e nelle strutture, offriva sufficienti possibilità di potere raggiungere gli obiettivi prestabiliti ed utili alla comunità; in questo modo, le volontà condivise degli abitanti e i provvedimenti assunti di conseguenza rendevano nel complesso vivibile il feudo spilambertese.
Lo scenario, nei medesimi anni, era ben diverso in realtà di dimensioni maggiori: possiamo offrire al proposito un peculiare esempio tratto da un manoscritto che descrive Parigi nella stessa epoca (inizio sec. XVII).
“[...] circolarvi [...] è difficile [...]. Molte strade sono strette, alcune misurano soltanto due metri, senza marciapiede, s’intende. Al centro di queste vie scorre un ruscello nauseabondo che trascina l’immondizia che si accumula davanti ad ogni porta. Ci sono più stronzi che pietre. Nelle strade più larghe passano le carrozze. Unica soluzione per non farsi schizzare di fango...camminare rasentando i muri”.
A voi, ora, lettori, il compito di confrontare e giudicare!


(Bibliografia: Criseide Sassatelli, “Che ogn’un si guardi...”, Artioli Editore, Modena 2001; André Castelot, “Maria de’ Medici”, Rizzoli Editore, 1996.)