Da “Per piacere
non buttatemi via”, di Franca Santunione.
(Anno 1959, Spilamberto, fontana del Municipio: Piero
(in alto a sinistra) e altri colleghi dell’A.G.I.P.)
Parte quattordicesima
[...] Ora apro una parentesi per
spiegare perché quei tanti ragazzi erano arrivati a Spilamberto.
Da quasi due o tre mesi l’ENI-AGIP
aveva iniziato a fare nei dintorni del
paese delle perforazioni per l’estrazione del gas.
Io non ne sapevo nulla, non avevo
visto nessun viso nuovo in giro per il paese fino a quella sera.
Arrivarono a Spilamberto alla fine
di maggio 1958, dopo aver fatto un corso di sei mesi a Cortemaggiore (PC):
tanti ragazzi provenienti da tutte le regioni d’Italia.
Quelli che già erano a Spilamberto
vennero trasferiti; non tutti però, perché un cantiere di quel genere non
poteva essere messo in mano a dei ragazzi appena usciti da un corso.
Il giorno dopo non riuscivo a togliermi Piero dalla testa,
ma ero convinta che questo fosse dovuto alla sua simpatia, a quel suo modo di
parlare e a ciò che mi aveva detto... e mi sorprendevo a sorridere da sola.
Quella sera, come sempre, dopo
cena uscii e trovai le mie
amiche sedute ai giardinetti, ma non su una delle panchine dove si
poteva vedere ciò che succedeva su tutta la Piazza.
Essendo queste già occupate,
ripiegarono su quelle di via Obici, così che noi non potevamo vedere ciò che
succedeva nella piazza, ma neppure chi si trovava a passare in questo luogo
poteva vederci se non quando una decina di metri divideva gli uni dagli altri.
Questo può sembrare senza
importanza, invece se così non fosse stato, oggi non sarei qui a raccontare
questa mia storia, cioè la mia vita, che era cambiata la sera prima, ma che
ancora non lo sapevo...
Seduta insieme alle altre c’era
l’amica della sala da ballo che mi chiese subito la ragione del mio
comportamento che li aveva lasciati tutti sbigottiti.
Dopo averle spiegato il motivo, mi
disse che quello che si era arrabbiato di più era stato il ragazzo romano: era
così arrabbiato che alla fine aveva detto:
«Spero di non vederla mai più!».
Questa frase mi fece sorridere,
perché in un paese è difficile non incontrarsi; era solo questione di tempo.
Infatti… dopo una decina di minuti
eccolo arrivare!
Era in compagnia con uno dei
ragazzi della sera prima.
Essendo seduta sul lato destro
della panchina (sulla spalliera), ero la prima ad essere vista attraverso le
prime due arcate del portico che formavano l’angolo tra la Piazza e via Obici.
Piero come mi vide si bloccò, e si girò di scatto per ritornare
indietro, l’altro ragazzo, che invece
voleva venire avanti, lo tirava per un braccio, così che uno tirava di qua e
l’altro di là, poi dopo un po’ Piero cedette e
vennero avanti.
In quel momento ero spaventata.
Temevo che mentre erano lì arrivasse Marco, anche perché era già difficile
trovare delle spiegazioni per come mi ero comportata la sera prima...
figuriamoci se mi avesse visto in compagnia di altri ragazzi!
Col tempo ho capito che la mia
paura non era questa: inconsciamente non
volevo che Piero sapesse dell’esistenza di Marco, ma in quel momento, presa dal
timore dell’arrivo di Marco, dissi alla mia amica di dire, appena si fossero
avvicinati, se volevano fare una passeggiata, e se dicevano di sì, di andare in
fondo alla strada dove c’era un giardino e all’interno un cancello, e di
aspettarci lì che noi li avremmo raggiunti appena sua madre (che la stava sorvegliando)
si fosse distratta [...].
Avevano accettato. Veramente fu
l’altro ragazzo a dire di sì; Piero si limitò a dire un semplice “buona sera”.
Io non potevo incamminarmi insieme a loro perché era la strada che di
solito faceva Marco quando arrivava nel
piazzale.
Appena si furono allontanati mi
sono alzata, dicendo alle amiche che se fosse arrivato Marco di dire che non mi
avevano vista, poi sono andata ad spettare l'amica in una via parallela (via Savani).
Al suo arrivo abbiamo raggiunto i
ragazzi che ci aspettavano vicino al cancello. Questo cancello era l’ingresso
principale di una bella villa circondata da un parco. Entrammo.
Io e Piero dopo aver passeggiato
per un po’, ci sedemmo su uno dei gradini di una scala che si
trovava di fronte alla villa, e che portava a un laghetto. Nel frattempo
notai che Piero non era più quello della
sera prima.
Avevo l’impressione che mi
studiasse per vedere se per caso non fossi un po’ matta.
Quella sera non poteva essere più
bella di così.
C’era la luna piena, e il cielo
pieno di stelle, e dentro al laghetto tantissime rane che facevano una grande
confusione. Tutta quella confusione fece dire a Piero:
«Abbiamo le rane che ci fanno la
serenata!».
Fu l’unica frase carina che disse
in quel paio d’ore che rimanemmo seduti su quegli scalini.
Mi faceva piacere vedere che non
approfittava della situazione perché ero sempre convinta di provare per questo
ragazzo solo della simpatia e mi piaceva sentirlo parlare.
Non poteva però fare scena muta
(sarebbe stato imbarazzante), così mi parlò di Roma, della sua famiglia e della
ragione che l’aveva portato a Spilamberto.
L’ascoltavo senza perdere una
parola: quando ebbe finito, sentii il bisogno di parlargli di me.
Raccontai quella sera a Piero ciò
che a Marco non ero riuscita a dire in tre anni. [...]
Gli raccontai che lavoravo
dall’età di dodici anni, che lavoro facevo e che ero nata in una delle famiglie
più povere del paese, ma soprattutto gli parlai di mio padre. Quando ebbi
finito fu come se mi fossi tolta un macigno dallo stomaco.
Mi venne facile raccontare queste
cose perché Piero mi ispirava molta fiducia; [...] La sensazione di parlare
solo a un amico durò ancora pochi minuti.
Non avendo l’orologio gli chiesi
che ora fosse? Disse che erano le 22,30.
«Devo andare a casa» dissi «perché
domattina devo alzarmi presto per andare al lavoro».
Anche Piero doveva andare al
lavoro quella stessa notte alle 4, così si alzò ed allungò una mano per
aiutarmi ad alzarmi.
Come mise la mia mano sulla sua,
fu come se avessi toccato un filo elettrico scoperto: sentii una scossa per
tutto il corpo. Avevo forse avuto un colpo di
fulmine con 24 ore di ritardo? O per 24 ore avevo mentito a me stessa nel voler credere che per quel ragazzo
provavo solo della simpatia?!
Mentre andavamo verso l’uscita
cercavo di fare l’indifferente, ma avrei dato l’anima per sapere cosa Piero
provava per me.
Questo lo seppi quando
arrivammo al cancello.
A pochi metri da questo c’era
un grazioso pozzo di marmo bianco (o travertino) e ferro battuto, Piero lo vide
e mi chiese se era il pozzo dei desideri. Risposi che non lo sapevo.
«Allora vediamo se lo è!»
disse. Mi prese per mano e andammo vicino al pozzo, raccolse un sassolino, lo
buttò dentro, aspettò qualche secondo poi mi guardò e disse: «Tu non hai niente
da desiderare?».
Io: « Un desiderio l’avrei, ma
non posso dirlo!».
Lui: «Non devi dirlo ma solo
buttare dentro un sassolino, pensare intensamente e vedrai che si avvera!».
Così feci; poi ci spostammo
verso il cancello. Lì giunti, Piero dice: «Posso sperare di vederti domani
sera?».
Il pozzo aveva funzionato! [...]