L’antica “Torre
granda”, l’attuale Torrione (prospetto nord).
Nel lontano passato, salendo le scale avremmo
trovato... ?
Waterboarding e alimentazione rettale, in pratica torture, erano alcune delle tecniche di interrogatorio usate dalla CIA per costringere i terroristi a rivelare informazioni o a confessare.
Le rivelazioni su questo fatto hanno sollevato grande scalpore e in genere condanna. Infatti, a partire dalla fine del ‘700, l’evoluzione civile e culturale ha portato all’abolizione di questi lesivi metodi coercitivi. Riferendosi a questo argomento, il giornalista e scrittore Corrado Augias afferma che, se venisse annunciata l’esecuzione di una pena capitale in una piazza, una moltitudine di persone accorrerebbe con telefonini e tablet.
Nel ‘600 invece torture e uccisioni erano pratiche normalmente previste e attiravano molto pubblico. Nemmeno il territorio di Spilamberto si differenziava. Nutrite testimonianze provengono dal periodo in cui la marchesa Bianca Rangoni governava questo feudo. Per chi trasgrediva le regole contenute nelle sue gride, le punizioni erano già preordinate. La tortura più usata era quella dei “tratti di corda”: i polsi del condannato erano legati dietro la schiena e sollevati per mezzo di una “girella”, generalmente per tre volte, intervallate dall’allentamento della corda stessa. Le braccia risultavano slogate irrimediabilmente!
Altra pratica era lo squartamento del condannato. Non c’erano tablet né telefonini, ma ciascuna delle quattro parti in cui era diviso il corpo del giustiziato era esposta in pubblico come ammonizione.
La Marchesa poteva infliggere tali punizioni in virtù del feudale “potere di banno” attribuito ad ogni “Signore”.
Un documento, presente nell’Archivio Storico Comunale di Spilamberto, ci informa che strumenti per eseguire le condanne erano conservati nella “Torre granda” (il Torrione) che fungeva anche da prigione.
Parte del testo originale datato 1606, in cui compare l’inventario dei beni del Comune di Spilamberto, elenca quanto segue:
“[…] Et poi un ceppo di legno con li suoi arnesi per mettere alli piedi
delli prigioni et con un altro ceppo per taliar la testa.
Et poi una fune grossa per dar la corda in pubblico con il
suo legno et cirella […]”.
Alla fine di ogni grida emessa da Bianca Rangoni si trovava scritto
“che ogn’un si guardi”,
ammonimento a non trasgredire quanto veniva imposto ai suoi sudditi!
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