In canonica una processione di
gente a chiedere aiuto, consolazione o
consiglio.
Tempo di benedizioni, a Pasqua: non
si metteva sulla soglia timidamente a
mormorare una preghiera, entrava in tutte le stanze, guardava perfino sotto i
letti e, alla “razdóra” sull’attenti,
faceva notare se c’era qualche “gatto” di polvere di troppo. Lo animava certo l’autorevolezza
dell’istituzione che rappresentava, ma anche la personale convinzione del
proprio ruolo “didascalico” ed educativo in quella comunità poverissima e
ignorante, nella quale era giunto nel 1911.
Se una ragazza per un qualche
problema urgente di famiglia, senza preoccuparsi dell’abbigliamento, si recava
da lui, « Oh ragazóla! e’l al modo ed
vistir qual lè? Guèrda cuma l’é scalvèda, bróta purzèla!» la redarguiva.
Qualcuna si sarebbe inalberata per molto meno, proprio perché teneva alla “reputazioun”, ma da don Bondi, e solo da
lui, si accettavano parole così dure come da un padre e poi, come ad un padre,
si obbediva a metà.
Egli sempre vicino a chi era in
difficoltà, a chi stava male, senza essere vincolato da ideologie partitiche, perché
importanti erano i principi morali.
Capitava che mettesse qualche
lira sotto il cuscino delle inferme povere. Ad una donna a cui era morto il
fratello regalò un libro di preghiere, la Filotea. “Ve’ quast chè t’lè da lézer à to mèdra, par aiutérla in d’al so
dispiasèir”. Ella fece di più, insegnò a sua madre a leggerlo da sola, quel
libro. Quando dai possedimenti della parrocchia arrivava la legna per l’inverno
la scaricavano nel cortile. Lui, con la sua tonaca lisa, chiamava due ragazzi,
faceva caricare il carretto e diceva a chi la dovevano portare, non certo a
casa sua.
Nel racconto di coloro che
l’hanno conosciuto risalta la sua attenzione agli ultimi, la sua franchezza estrema, il coraggio e la vita integerrima,
Per uno spilambertese tra i 50 e
i 100 anni, don Bondi non è un personaggio storico, è piuttosto un mitico
prozio. Stava vicino ai parrocchiani come un
parente ruvido, un po’ ficcanaso,
a cui potevi chiedere in prestito il tabarro o un aiuto per traslocare; uno di
quelli che sbuffano quando si commuovono e gli atti di generosità li fanno
“scontrosamente”.
Questo il personaggio nei
ricordi.
Il don Bondi colto, antifascista, scomodo prete di frontiera, lo
si ritrova anche nei documenti.
Quella carità che avrebbe potuto
continuare ad insegnare dottamente come virtù teologale, lui l’ha praticata fra
i poveri ed ha incarnato nei rapporti con i suoi parrocchiani gli ideali di una Chiesa che si voleva
rinnovare, e alla quale avrebbe potuto offrire un contributo intellettualmente
importante.
Per questo lo potremmo definire un nostro eroe, un personaggio mitico di
una Spilamberto sana, pulita ed intensamente coerente con i propri ideali.
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