Parte
seconda
[...] Mia madre lavorava alla Sipe, che era una
fabbrica di esplosivi. Lei faceva i turni dalle sei del mattino alle due di
pomeriggio e mangiava là. Noi eravamo a casa da soli. Mia madre, per non
lasciarci soli, fino dall’età di sei mesi e mezzo ci aveva messi a balia da una
vicina di casa: la chiamavamo nonna Faustina. Nonna Faustina ci ha voluto molto
bene e anche noi l’amavamo molto. L’unica cosa è che puzzava, ma noi non ci si
badava. Metà dello stipendio di mia madre serviva per pagare lei.
A quell’epoca non c’erano gli asili nido e noi eravamo
due gemelli senza padre.
Alla nonna Faustina abbiamo voluto tanto bene, come a
una mamma, e lei ce ne ha voluto come se fossimo suoi figli. La ricordo ancora
oggi con amore. Ancora oggi ricordo quella casa buia a solaio, con una piccola
finestra che guardava la via Obici. Una cucina nera, con due fornelli in
pietra, e si faceva il fuoco con il carbone. C’era sempre un gran fumo ed era
nerissima. C’era poi una rete che faceva da letto e sulla quale abbiamo fatto
così tanti salti fino a disfarla. Nonna Faustina non aveva il gabinetto in casa
e, come tutte le vecchie di una volta, non portava le mutande: quando doveva
urinare andava nella stalla, che era al pianterreno, si metteva a gambe aperte,
con una mano spostava il grembiule e quando aveva finito si puliva con lo
stesso grembiule che veniva lavato ogni quindici giorni. Figuriamoci l’odore
che poteva fare! Nessuno aveva l’acqua in casa: c’erano i pozzi.
La via Obici era una via di stalle e di cavalli e birocci che servivano
per andare in Panaro per prendere la ghiaia per i frantoi. Quella casa era la
mia seconda casa. Grazie nonna Faustina per il bene che ci hai voluto. Non ci
hai mai fatti sentire soli, specialmente in quei tristissimi anni. Tu sarai
sempre nei miei pensieri. [...]Nell'immagine: casa, ora ristrutturata, sita in via Obici, nel cui sottotetto abitava “nonna Faustina”; al piano terra vi era la stalla.
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