mercoledì 11 gennaio 2017

"PAGINE DI DIARIO" / 14

Da “Per piacere non buttatemi via”, di Franca Santunione.



Franca Santunione – a destra -  e la sorella Anna all’età di, rispettivamente, 7 e 9 anni.



Parte settima

[...] Era un pomeriggio anche quel giorno e noi ragazzine facevamo un gioco che consisteva nel fare un riquadro per terra a ridosso della Rocca. Ognuno di noi faceva il suo, e questo rappresentava la propria casa, che addobbavamo con pochi giocattoli e cianfrusaglie varie. Finito di fare questo, abbiamo pensato di farci il vestito da sposa con dell’erba che cresceva nei posti meno calpestati del piazzale. Questa era una piantina che aveva una punta centrale, poi si allargava raso terra come un ombrello con lunghi fili d’erba, con attaccate tante minuscole foglioline. Staccavamo tutta intera questa piantina, e univamo insieme questi lunghi fili e ne usciva una specie di pareo che arrivava fino a terra. C’eravamo fatte anche il velo, col risultato che avevamo la testa piena di terra. Finito di fare questo, non ricordo se una di noi andò a chiamare dei ragazzini che giocavano all’altro lato del piazzale, o se arrivarono perché incuriositi da come eravamo conciate. Comunque sia, una volta giunti, venne chiesto loro se volevano partecipare al gioco scegliendo come moglie la ragazzina che più gli piaceva. Chi da uno, chi da un altro, tutte vennero scelte... io non fui scelta da nessuno. Era rimasto libero un ragazzino un po’ gnoccolone, ma neppure lui mi ha voluta come moglie, allora venne deciso che lui doveva fare il prete, e io il chierichetto. Deciso questo, abbiamo formato un corteo e siamo andati sugli scalini della chiesa che si trovava su un lato del piazzale a celebrare il rito del matrimonio. [...] Io ero piombata in uno stato di profonda e totale mortificazione e tutto avevo, tranne che ancora voglia di giocare, così me ne andai a casa. Lì trovai mia madre e mia nonna (era mia bisnonna). Mia madre come mi vide capì che stavo quasi per piangere; allora mi chiese cosa mi era successo. Raccontai cosa mi era successo, finendo col dire che nessuno mi aveva voluto sposare perchè ero brutta. Mia madre si mise seduta e disse:
«Franca vieni qua, e non dimenticare mai quello che ti dico... Ti ricordi la favola di quell’anatroccolo (evitando la parola brutto) che nessuno voleva vicino, ma che col passare del tempo diventò un bel cigno, mentre gli altri rimasero tutti delle normalissime anatre; così sarà anche per te... Tu diventerai una bella ragazza, e quando i ragazzi incominceranno a fare gli stupidi, li devi mandare tutti all’inferno!» (Cuore di mamma!) [...]
Parole dette per consolarmi, ma che io presi senza mettere in dubbio che così sarebbe stato. Mia madre non poteva avere mentito [...].
Questo episodio e quello che riguardava i miei occhi (vedi precedente puntata), mi fecero diventare un’ottimista; non mi sentivo più inferiore agli altri ragazzini. Le loro parole mi avevano suggestionata al punto che mi sono sentita subito bella, con addosso una gran voglia di ridere, cantare e saltare dalla gioia.
Avrei tanto voluto raccontare a tutti la ragione di questa mia felicità, ma non lo feci. Non so se fu per pudore, o solo perchè, presa da questa euforica esaltazione, aspettavo con ansia di vedere sul volto delle persone del paese lo stupore della mia metamorfosi!
Mentre aspettavo che si verificasse questo evento, che assomigliava molto a un miracolo, mi sembrava diventato meno opprimente anche l'ambiente famigliare [...]

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