Franca Santunione – a destra - e la sorella Anna all’età di, rispettivamente,
7 e 9 anni.
Parte settima
[...] Era un pomeriggio anche quel giorno e noi
ragazzine facevamo un gioco che consisteva nel fare un riquadro per terra a
ridosso della Rocca. Ognuno di noi faceva il suo, e questo rappresentava la
propria casa, che addobbavamo con pochi giocattoli e cianfrusaglie varie.
Finito di fare questo, abbiamo pensato di farci il vestito da sposa con
dell’erba che cresceva nei posti meno calpestati del piazzale. Questa era una
piantina che aveva una punta centrale, poi si allargava raso terra come un
ombrello con lunghi fili d’erba, con attaccate tante minuscole foglioline. Staccavamo
tutta intera questa piantina, e univamo insieme questi lunghi fili e ne usciva
una specie di pareo che arrivava fino a terra. C’eravamo fatte anche il velo,
col risultato che avevamo la testa piena di terra. Finito di fare questo, non
ricordo se una di noi andò a chiamare dei ragazzini che giocavano all’altro
lato del piazzale, o se arrivarono perché incuriositi da come eravamo conciate.
Comunque sia, una volta giunti, venne chiesto loro se volevano partecipare al
gioco scegliendo come moglie la ragazzina che più gli piaceva. Chi da uno, chi
da un altro, tutte vennero scelte... io non fui scelta da nessuno. Era rimasto
libero un ragazzino un po’ gnoccolone, ma neppure lui mi ha voluta come moglie,
allora venne deciso che lui doveva fare il prete, e io il chierichetto. Deciso
questo, abbiamo formato un corteo e siamo andati sugli scalini della chiesa che
si trovava su un lato del piazzale a celebrare il rito del matrimonio. [...]
Io ero piombata in uno stato di profonda e
totale mortificazione e tutto avevo, tranne che ancora voglia di giocare, così
me ne andai a casa. Lì trovai mia madre e mia nonna (era mia bisnonna). Mia
madre come mi vide capì che stavo quasi per piangere; allora mi chiese cosa mi
era successo. Raccontai cosa mi era successo, finendo col dire che nessuno mi
aveva voluto sposare perchè ero brutta. Mia madre si mise seduta e disse:
«Franca vieni qua, e non dimenticare mai quello che ti
dico... Ti ricordi la favola di quell’anatroccolo (evitando la parola brutto)
che nessuno voleva vicino, ma che col passare del tempo diventò un bel cigno,
mentre gli altri rimasero tutti delle normalissime anatre; così sarà anche per
te... Tu diventerai una bella ragazza, e quando i ragazzi incominceranno a fare
gli stupidi, li devi mandare tutti all’inferno!» (Cuore di mamma!) [...]
Parole dette per consolarmi, ma che io presi senza
mettere in dubbio che così sarebbe stato. Mia madre non poteva avere mentito
[...].
Questo episodio e quello che riguardava i miei occhi
(vedi precedente puntata), mi fecero diventare un’ottimista; non mi sentivo più
inferiore agli altri ragazzini. Le loro parole mi avevano suggestionata al
punto che mi sono sentita subito bella, con addosso una gran voglia di ridere,
cantare e saltare dalla gioia.
Avrei tanto voluto raccontare a tutti la ragione di
questa mia felicità, ma non lo feci. Non so se fu per pudore, o solo perchè,
presa da questa euforica esaltazione, aspettavo con ansia di vedere sul volto
delle persone del paese lo stupore della mia metamorfosi!
Mentre aspettavo che si verificasse questo evento, che assomigliava
molto a un miracolo, mi sembrava diventato meno opprimente anche l'ambiente
famigliare [...]
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