Spilamberto
1918: Prigionieri in casa propria
Remo Bergonzini durante la Grande Guerra.
Remo, futuro fondatore del Gruppo Alpini di Spilamberto,
fu catturato dagli austriaci e trascorse diversi mesi in un campo di prigionia in Serbia.
Testimonianza e fotografia di Angela Bergonzini.
Un
effetto inevitabile della guerra, si sa, sono i prigionieri: quelli nemici e
quelli italiani in mano ai nemici. Dopo Caporetto, Spilamberto è incluso tra i
territori in stato di guerra e questo comporta pesanti conseguenze per il
paese.
Il
4 novembre 1918 c’è l’armistizio: la guerra è finita, ma le condizioni di vita
della popolazione di Spilamberto peggiorano invece di migliorare, e questo è il
paradosso; ma sorprendente ne è la causa. Dopo pochi giorni dall’armistizio un
Commissario provinciale chiede quanti prigionieri nemici si possano accantonare
a Spilamberto. Il Municipio risponde “I
locali sono in parte occupati da truppe e prigionieri lavoratori, l’altra parte
è requisita per 1800 prigionieri italiani. Nulla è disponibile”.
Questo
è il secondo paradosso: prigionieri italiani in Italia. La spiegazione è amara:
dopo Caporetto i prigionieri italiani caduti in mano al nemico sono visti con
diffidenza e ostilità; sono considerati probabili disertori o cattivi soldati.
Al loro rientro si pensa di sottoporli a interrogatorio e tra le aree prescelte
per questo c’è la provincia di Modena. A Spilamberto uno dei locali indicati
per l’accoglienza è l’Asilo Infantile. Il marchese Rangoni si oppone a tale
scelta e scrive al sindaco:”È imminente la requisizione dell’Asilo per collocarvi i
prigionieri. La prego…di evitare tale iattura per tante povere famiglie che
perderebbero così il vantaggio della quotidiana minestra ai loro bambini”. Il marchese si
preoccupa solo del nutrimento dei bambini, non della custodia. La richiesta è
accolta e in effetti vengono occupati Villa Toschi, la Filanda, il Filandino,
il Teatro Comunale e un forno.
La
condizione degli ex prigionieri è drammatica. L’Archivio conserva un documento
del sindaco di Spilamberto che ce ne informa: “Da domenica (10 novembre)
sono qui 1500 prigionieri nostri reduci (dall’) Austria, parte tubercolotici, in pessimo arnese, alcuni seminudi
scarsamente e male vettovagliati, ricoverati (in) locali senza vetri, privi
(di) coperte col freddo che volge…Taluni elemosinano e rubacchiano dentro e
fuori paese. Impossibile impedire contatti con popolazione pericolosi. Urgono
provvedimenti e tenere pulizia dai comandi militari …(in) ogni dove mucchi di
immondizie perniciosi e sconvenienti”.
La
convivenza tra civili e militari, raggiunta prima pur con difficoltà, fallisce
in questo momento. A Spilamberto però c’è chi si è prodigato per i prigionieri.
Arturo Gatti offrì alloggiamenti, trasporti di viveri e indumenti, assistenza
ad ammalati, vino caldo e così via. L’anima di Spilamberto non era vinta.
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