Da
“Ricordi di una ragazzina”, di
Liliana Malferrari (stampato nel dicembre del 2015).
Parte
settima
ed
ultima puntata.
(Liliana
Malferrari con il “suo Nini”)
[...]
A 17 anni tornai in Italia, ma i nostri genitori non avevano cambiato idea. Noi
continuavamo la nostra storia. Andai a servizio a Modena e lì ci vedemmo
spesso. Così mi mandarono a servizio a Milano e fu lì che mi accorsi di essere
incinta. Questo scombussolò la nostra vita. Ci sposammo, noi ci amavamo. Ci
sposammo alle sette del mattino del 27 febbraio 1954, io non avevo ancora 19
anni e lui ne aveva appena compiuti 20. Non avevamo nemmeno una lira. Andammo
quattro giorni a Milano dove avevamo dei parenti che ci ospitarono come regalo.
Quando
tornammo a casa, lui tornò a casa sua e io pure. Non avevamo proprio nulla.
Dopo tre mesi, sempre in via Obici, trovammo una camera e cucina, senza bagno e
lavandino, che era in un pianerottolo in comune con un’altra famiglia. Avevamo
un po’ di mobili vecchi regalatici da conoscenti e arredammo questa casa con
roba vecchia, ma a noi piaceva tanto. Non so se si può dire, ma l’unica cosa
nuova era una stufa a legna che mi regalò mia madre e i materassi di penna, che
erano da rimescolare tutte le mattine per stendere bene la penna.
In
quella casa nacque nostra figlia Marna. Era il 16 luglio 1954. Non avevamo
nulla e nulla. Con l’aiuto di mia madre e Anna, una vicina di casa, si tirava
avanti con fatica.
Grazie
a tutte quelle persone che sono state tanto generose con me, perché a
quell’epoca avevano poco tutti.
Mio
marito trovò poi un lavoro stagionale e io facevo qualche lavoretto in casa:
cucivo maglie, facevo dei colletti all’uncinetto, per un ragazzino ricamavo
maglioni e tante altre cosine. Con sacrificio si tirava avanti.
Dopo
tre anni di matrimonio rimasi nuovamente incinta ed ero disperata. L’11 agosto
1957 nacque Moreno. La nostra preoccupazione era sempre la stessa: come fare ad
andare avanti, perché i soldi che si prendeva erano pochissimi. Poi successe
che a sette mesi Moreno si ammalò gravemente e stette ricoverato un mese in
ospedale. Io dovetti stare sempre con lui perché dovevo dargli il latte. Un
medico di turno lo salvò e finì tutto bene.
Tirammo
avanti così per anni, privandoci di tutte quelle cose che sarebbero piaciute
anche a noi, tipo andare al cinema e fare qualche gita, ma ormai la vita ci
aveva già temprati.
Noi
siamo stati fortunati, perché tanta gente ci ha aiutato. Però ricordatevi che
non c’è umiliazione più grande del dover chiedere l’elemosina e mi sono
riproposta che questo non sarebbe mai più accaduto. Ho anche imparato che la
vita, senza sacrifici, non ti regala nulla, specialmente nei rapporti familiari.
La famiglia per me è sacra. Per me i figli sono la cosa più importante. Ho
cercato di trasmettere loro tutto il mio amore, anche sbagliando, ma tutto
quello che ho fatto l’ho fatto in buona fede.
I
figli sono un dono e li ami con i loro pregi e difetti.
Ho tre nipoti, due femmine e un maschio.
Noi rompiamo perché vi vogliamo bene.
Quando avrete bisogno noi ci saremo
sempre.
Grazie di volare…
(Liliana
con i suoi due figli: Marna e Moreno.)
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