venerdì 10 agosto 2018

PAGINE DI DIARIO / 28

Da “Quel Piazzale della mia infanzia”, di Laura Bertarelli (stampato nel maggio del 2005).


(Autunno 1946. Laura con il suo papà.
Fotografia scattata sopra ad uno dei terrazzi che si affacciano sul Piazzale della Rocca.)


Parte undicesima

[...] Anche Ermes e la sua famiglia erano presenti al suo ritorno, mi portarono un grande scatolone: conteneva una bellissima bambola con i riccioli biondi, gli occhi azzurri che si aprivano e chiudevano e per quei tempi era una meraviglia.
La guardai in silenzio, sapevo da tempo che me l’avrebbe portata, cosa che ho sempre creduto per tanti anni fino all’adolescenza, era invece stata comprata qui, su richiesta sua, e tenuta in casa di Ermes.
Quella sera mentre tutti facevano festa e la nonna preparava la cena, l’emozione mi vinse, non riuscii né a parlare né a mangiare, mi rannicchiai sul divano, un nodo mi stringeva la gola, osservavo soltanto.
Quella bambola l’ho sempre tenuta, ci ho giocato poco, era quasi considerata un monumento, me l’hanno rotta i miei figli nel giocarci da piccoli.
Finita la guerra si cominciò a raccattare i cocci dei disastri da essa provocati.
La mia famiglia si era riunita. Mio padre ritornò a lavorare alla SIPE come meccanico. Il tragitto tra casa e lavoro e viceversa era effettuato in bicicletta, quattro volte al giorno, con qualsiasi clima, solo d’inverno nelle giornate più gelide portava con sé il pentolino con la minestra.
I nonni di Castelvetro vennero ad abitare con noi nella casa sul piazzale a Spilamberto.
La mamma  e la zia avevano il loro negozio di mercerie ed erano sempre molto impegnate, perché oltre a questo andavano ai mercati con il banco.
Lavoravano anche la domenica mattina, poiché allora c’era il mercato e tutto il centro era occupato dagli ambulanti. Il mercato dei polli era nella via S. Carlo e nel cortile della canonica. All’uscita della messa il negozio si riempiva di gente, per certe persone povere comprarsi il necessario per vestirsi era difficoltoso. Una maglia, le calze o altri indumenti li pagavano a “rate”, portavano a fine mese qualche lira, la maggioranza con onestà. Ricordo un particolare di quel tempo, si vendeva la brillantina per i capelli, col misurino nel contenitore portato dal cliente.
La zia Anna, che era una bella ragazza, con dei bellissimi capelli dai riflessi ramati, si era sposata e viveva con lo zio Gilberto in una delle ville della SIPE.
Queste abitazioni, costruite per gli impiegati e considerate ville, erano nel viale “delle suore”, così detto perché vi era l’asilo. [...]

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