SQUILLA
L’ORA DELLA BEFFA
Incalzati dall’armata del conte, gli
Spilambertesi in fuga tentano di uscire da S. Cesario: nel caos avviene un
colpo di scena.
La tensione è elevata, la situazione
è confusa : “gli invasori (cioè gli spilambertesi), /cacciati indietro d’ogni
direzione,/cercavan solamente d’andar fuori./”
La descrizione successiva crea attesa:
“Non lungi dalla porta mezzogiorno, /proprio
di fianco al primo crocevia, /v’era un palazzo dove avea soggiorno/il Podestà
con la burocrazia;/palazzo ch’era sul frontone adorno/d’un balcone che sporgeva
sulla via”.
Il rumore della fuga è ormai lontano.
Nella narrazione compare la protagonista, la squilla, e la vicenda ha una
svolta decisiva: “e a quel balcone ,/
campana meglio dire campanella,/una squilla più grande di un pitale,/ma non più
grande di una bacinella,/però di bronzo, e ornata niente male,/che a mezzo di
una lisa funicella/venia fatta suonar dal davanzale/per dar l’allarme in caso
di periglio/o per chiamare il popolo a consiglio/”.
La squilla del titolo, così svilita,
persa la nobiltà del suono, rivela anche nel nome la parentela con la modesta
Secchia cantata dal Tassoni. Sul balcone “appollaiato come una civetta” si
trova Valdemaro, “che non perse la testa
in quei frangenti/ma essendo di mestiere campanaro/ritenne più opportuno dar
l’allarme/che non cercar di procurarsi l’arme”; “la corda strattonava con
passione/riempiendo l’aria di un concerto”. “E proprio a causa della sua
perizia,/quando il nemico mosse in ritirata/nel suonar suo si colse la
letizia…/ma non soltanto: con sottil malizia/ogni rintocco della
scampanata/seguiva i ritmi dell’indietreggiare/ e sembrava i fuggiaschi
sbeffeggiare”.
Guai però prendere in giro gli
spilambertesi “E fu così che tre spilambertesi,/un Sirotti, un Zanotti e un
Vaccari,/che si sentiron da quel suono offesi,/pensarono di fare i conti
pari/con i motteggi dei sancesaresi.”
Questi salgono sul balcone per dare
una lezione al campanaro che fugge. Stanno per inseguirlo quando un ultimo
rintocco flebile della campana fa venire l’idea: portare via la campana stessa:
“la campanella fu dal mur schiodata,/quindi carcata in spalla ad un di loro/e
infine fuori del porton portata./E in mezzo al battaglion spilambertese/lasciò
quella campana il suo paese.”
I sancesaresi insultano i fuggiaschi
e non li inseguono, ma quando Valdemaro, urlando, li informa del furto si
mettono a correre verso gli spilambertesi. Lo scontro ormai ha un motivo reale,
il furto di un simbolo: ne va della dignità del paese. Il contatto tra i due
contendenti sta per avvenire quando, come in ogni western che si rispetti,
arrivano i nostri; e non manca nemmeno la tromba del 7^ cavalleggeri.
“Ma quando un branco l’altro ormai
toccava/un nuovo suon portato fu dal vento/ed era lo squillar delle fanfare/di
un’armata in procinto di arrivare. /Al risuonar dei guerreschi squilli/si
fermaron fuggiaschi e inseguitori/che dovean, per poter esser tranquilli, /veder
di quell’esercito i colori./Tolsero il dubbio i primi due vessilli/che da
dietro un vigneto venner fuori:/ il bianco-verde li dicea per certo/dalla parte
di quei di Spilamberto.”
Scorrerà del sangue?
[Citazioni da "La squilla rapita" di Lamberto da Spiniosilva (pseudonimo di Silvio Cevolani), Mercatino di via Obici, CXXVII Fiera di San Giovanni, Spilamberto, 24 giugno 1997; disegno di Gustavo Cevolani dall'edizione originale].
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