“LA
SQUILLA RAPITA”
di
Lamberto da Spiniosilva (pseudonimo di Silvio Cevolani),
Mercatino
di via Obici, CXXVII Fiera di San Giovanni,
Spilamberto, 24 giugno 1997.
“La Maria Rosa li seguìa
annotando
su un libriccino rosso di colore
i libri ch’essi andavano
lanciando.
Seguiva Franceschini, il
professore,
che da terra estraea,
rassomigliando
un poco dei tartufi al
cercatore,
le quadrate radici che poi lesto
sul nemico scagliava a lui
molesto.” (Canto VIII, vv. 113-120)
Siamo nel
1996-97, l’autore tutti i giorni si recava a Bologna per lavoro. Il viaggio di
andata e ritorno era interminabile e lui cercava un modo per occupare la
monotonia del percorso. Un amico gli consigliò di seguire un corso di inglese.
La proposta non lo attirava. Allora ebbe un lampo: la propensione per il motto
di spirito, la facilità personale alla battuta umoristica, la familiarità con
la storia locale e una conoscenza letteraria che comportava anche una
consuetudine con il poema del Tassoni “La Secchia rapita”. Di qui l’idea di un
poema, sì un poema eroicomico, legato alle conseguenze del furto della
“squilla”( la campana) agli abitanti di S. Cesario da parte degli
Spilambertesi, il tutto ambientato nel cuore del Medioevo.
Fu così che
giorno dopo giorno l’autore riempiva il percorso Spilamberto-Bologna di ottave,
cioè strofe di otto versi, tutte in endecasillabi, versi di undici sillabe.
Ma, visto che
l’ideazione era tutta mentale, come trascrivere le idee immediatamente,
evitando il rischio di dimenticarle? L’aiuto venne dai semafori rossi alla cui
fermata Silvio trascriveva la singola ottava da lui memorizzata. Insomma, come
dire, almeno uno al mondo che non imprecava al semaforo rosso.
Alla
base del poema c’è, riferisce l’autore, il ritrovamento di “un curioso
manoscritto in cui si narra di una contesa tra S. Cesario e Spilamberto a causa
di una campana”.
L’espediente del
manoscritto ha illustri precedenti; basti citare il Don Chisciotte o i Promessi
Sposi, ma i “colpi di scena” e le “mirabolanti avventure” rendono singolare la
lettura di quest’opera in cui la comicità surreale presenta in “uno spaccato
medievale” veri personaggi della Spilamberto di oggi.
Nell’ottava
citata all’inizio, troviamo che, mentre infuria uno scontro epico, compaiono:
Maria Rosa, allora bibliotecaria, che svolge con scrupolo il suo lavoro;
Franceschini, professore universitario di matematica, che usa le armi del suo
mestiere, le radici quadrate. Per questo motivo attraverso i personaggi, la
cornice medievale diventa una specie di ufficio anagrafe della Spilamberto di
fine Novecento. I personaggi però non sono semplici nomi, ma sono proposti con
caratteristiche che li rendono riconoscibili: o con riferimento al lavoro
opportunamente medievalizzato, o elencando vizi e virtù naturalmente di dominio
pubblico nel paese.
L’opera si
potrebbe definire “un postmoderno spilambertese”, in quanto mescola, in modo
spesso parodistico, varie tendenze letterarie tutte però riportate nell’ambito
spilambertese, a testimonianza di un profondo attaccamento, stavamo per dire
amore, per questo nostro paese.
Al di là del
tono decisamente comico rimane da rilevare il possesso sicuro della lingua
poetica: le rime sempre rigorosamente AB AB AB CC. Il verso endecasillabo viene
utilizzato in tutta la sua gamma musicale, che, con notabile perizia tecnica, si
spande e varia in tutto il poema.
Gli artisti
spilambertesi hanno illustrato vari passaggi del testo, impreziosendolo
ulteriormente. Altre meraviglie
vi mostreremo nelle prossime puntate.
Eccovi l’ottava
con cui inizia “La squilla rapita”:
“Reggimi
o Diva questo sacco aperto
nel
narrar che io farò dello scenario
di
sottil guerra e poi di scontro aperto
che
provocato fu dal rio divario
che
oppose i cittadin di Spilamberto
a quelli residenti in S. Cesario” [...].
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