(Prima parte)
Non sapeva resistere ad un bicchiere di vino. Luigìn lo conoscevano bene gli osti, perché nei suoi vagabondaggi non ne trascurava una di osterie, il suo bicchiere era sempre pronto. Era cresciuto a lambrusco e carte. Anche il gioco lo appassionava; seduto al tavolo ne passava di tempo, tra partite e discussioni. A questi due amori pensava spesso mentre nella bottega aggiustava una sedia, realizzava o intarsiava un mobile.
Non aveva dimenticato quando con lo zio, il capitano Giacinto Fabriani, era entrato per la prima volta in Rocca; sì, dopo era capitato lì per qualche rapido lavoretto, ma desiderava percorrerla con uno sguardo più attento.
Era piccolo allora e tra le tante domande che gli si erano affacciate una in particolare gli era rimasta. Una stanza era chiamata “Trucco”: «Chissà quali artifici e magie vi si tramavano», aveva favoleggiato.
Era rimasto un po’ deluso quando aveva imparato che il nome traeva origine dal gioco che allietava l’ozio dei nobili ed era praticato in quella sala. Si svolgeva sopra ad un tavolo circondato da sponde, dove i “Signori” si divertivano a far scorrere delle bocce: si diceva che fossero d’avorio, a volte anche di bosso. Quest’ultimo legno Luigìn lo conosceva, però non aveva idea di cosa fosse quell’avorio, e gli elefanti cosa c’entrassero; erano chiacchiere di cui non conosceva la verità, ma che stuzzicavano in lui la curiosità e la voglia di vedere con i propri occhi.
Si diceva anche che d’estate, durante le feste, nei giardini, nel parco, il “Trucco” venisse portato all’aperto: era una consuetudine dei divertimenti dei nobili.
In quell’aprile del 1770, la necessità di un falegname per aggiustare degli arredi fu l’occasione che Luigìn cercava. Guidato dal signor Alghisi girava per le stanze ed... eccola, quella del “Trucco”. Sedie, cassoni da letto, materassi, coperte, stoffe stavano per soffocare la sua ricerca: dov’era il gioco del “Trucco”?!
Non c’è maggior disagio che la delusione dopo una lunga attesa. Individuò, però, un quadro della Vergine e due Santi in un angolo ed ecco, lì vicino, un tavolo! Forse quello che cercava?
La base del piano sembrava importante, i piedi erano dorati, ma le sponde non c’erano, e nemmeno le bocce!
Si rivolse ad Alghisi: era di quell’a-v-o-r-i-o che desiderava sapere!
Ma gli elefanti no, e nemmeno le loro zanne, poteva immaginarseli descritti dalle parole un po’ troppo complicate del suo accompagnatore.
Il percorso continuò, ma sempre con questo “elefante in testa”.
Finalmente adocchiò qualcosa legato alla sua passione. Ed ecco in alcune sale tavolini da gioco coperti di damasco verde bordato di giallo! un “Tric Trac” di noce con candelabri per illuminare le partite dei giocatori e... tavolini da Tressette e da Primiera anch’essi rivestiti di quel raso verde!
Che tavoli, che lusso, per questi nobili!
Nelle osterie che frequentava Luigìn il legno di noce era sconosciuto, i pioppi del Panaro la facevano da padrone, e i bicchieri di Lambrusco vi lasciavano cerchi perenni a ricordare le allegre bevute in compagnia.
(Arrivederci alla prossima puntata)
(Notizie tratte da documenti originali e “condite” con un po’ di fantasia.)
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