(Spilamberto, “Ventennio fascista”: un gruppo di
“Piccole italiane” sfila lungo Corso Umberto I.
- Fotografia da raccolta privata-)
Da “Ricordi
di una ragazzina”, di Liliana Malferrari (stampato nel dicembre del 2015).
Parte quarta
[...] Una notte
ci fu un gran bombardamento. I punti presi di mira erano la ferrovia (che
passava proprio alla fine di via Obici), il ponte e la Villa Rangoni, dove
c’era il comando tedesco. Quella notte dormimmo nei campi, sotto i filari dei
vigneti e a noi andò bene, tuttavia morirono anche dei civili. Quanta paura!
Ero una bimba di otto anni. Quando bombardavano, mollavano anche dei bengala
che illuminavano la zona da colpire.
La povertà ti
matura troppo in fretta. A quei tempi per poter mangiare qualcosa andavi per le
case dei contadini a chiedere l’elemosina, ma era dura anche per loro. A volte
ci davano qualcosa tipo un uovo oppure un pezzetto di pane. Quando non ti
davano nulla, cercavi di rubare nei campi, tipo frutta o quello che trovavi. Ma
non era rubare… era FAME.
Di giorno,
quando suonava l’allarme, ci nascondevamo nella Rocca Rangoni, perché aveva
delle mura grossissime, e lì ci sentivamo più sicuri.
Ricordiamoci che
c’era anche il fascismo e la gente era terrorizzata, perché se non avevi la
loro tessera venivi perseguitato. Quante ingiustizie sono state fatte, quanti
giovani innocenti sono stati uccisi o portati via, senza che si sapesse più
niente di loro.
Ricordo un
mattino che era ancora buio e venne un amico di famiglia disperato. Gli avevano
impiccato con del filo di ferro il figlio di 19 anni e altri suoi amici.
L’esecuzione è avvenuta al Bettolino, una frazione di Vignola. Era il 13
febbraio 1945. Li lasciarono appesi fino al giorno dopo perché nessuno aveva il
permesso di tirarli giù. Quando finalmente poterono prendere i corpi, fu la
madre del ragazzo a tirarlo giù. Che orrore fu! Ancora oggi c’è una lapide in
suo ricordo.
A scuola avevano
dato una divisa a noi bimbi, per l’ora in cui si faceva ginnastica. Noi bimbe
avevamo una camicetta bianca e una gonna a pieghe nera. I maschi portavano
camicia e pantaloni neri e un berretto con fiocco. Loro si chiamavano “i Piccoli
Balilla”, noi “le Piccole
Italiane”. La scuola non
c’era tutti i giorni: come si faceva a insegnare ai ragazzi che vivevano in un
periodo dove già tutto ciò che accadeva era un insegnamento? Era regime e loro
giravano con i manganelli sempre pronti e li adoperavano spesso, terrorizzando
tutti.
All’inizio di
via Obici c’era una signora che si chiamava Ida. Era benestante e molto buona.
Quando, una volta alla settimana, c’era da andare con la tessera a prendere la
carne, c’era da fare una fila lunghissima. Così noi bimbi si faceva a gara per
andarci al suo posto perché lei, per ricompensa, ti dava un pezzetto di pane
bianco, che avevano in pochissimi.
Alla sera c’era
il coprifuoco e non si poteva uscire. Si doveva stare chiusi in casa, con
finestre tappate così bene da non far vedere nessuno spiraglio di luce
dall’esterno. Noi bimbi si giocava per le scale e, se non suonava l’allarme, si
andava a letto presto, tante volte senza cena e con tanta fame. [...]
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