Da “Quel
Piazzale della mia infanzia”,
di Laura Bertarelli (stampato nel maggio del
2005).
(Renato Bertarelli - papà di
Laura - durante il servizio militare in Libia, 1943,
prima di essere catturato e trasferito in Inghilterra come prigioniero.)
Parte nona
[...] Provato da tre anni di guerra in Libia, fu preso
prigioniero in Tunisia nel giugno del 1943 e internato nel campo di prigionia a
Bona in Algeria per diciotto mesi, portato poi in Inghilterra dove rimase fino al 1946.
Fu proprio in quel periodo che di lui non si ebbero
notizie.
Nella ritirata di 2000 km, aveva dovuto abbandonare tutto
quello che portava con sé, anche le lettere e le fotografie che mia madre gli
aveva inviato, ne tenne solo due.
La posta non arrivava e per un anno e più non si sapeva
dove fosse finito, solo più tardi si imparò che era prigioniero degli inglesi.
Dopo questo lungo silenzio di notizie, un giorno, mentre ritornava al campo,
vide il tenente che lo aspettava sventolando due lettere, di corsa lo
raggiunse, una era della moglie e l’altra dei genitori. Ancora oggi quando lo
racconta si commuove.
Quasi nove anni di guerra è stato obbligato a fare, povero
papà, una buona parte della sua giovinezza.
Io lo conoscevo in fotografia, sempre me ne parlavano, e mi
dicevano che quando sarebbe tornato mi avrebbe portato una bambola e che avrei
dovuto abbracciarlo forte, perché era il mio papà, che mi voleva molto bene e
in più poteva anche avverarsi l’ipotesi più nera che non tornasse, come purtroppo a molti è capitato.
Nel marasma e nella crudeltà che la guerra porta con sé,
dirò che gli è andata bene. Erano allo
sbando, la fame li tormentava, toglievano dal pane e dal rancio i vermi, quando
bombardavano il loro rifugio erano delle buche nella sabbia.
Un giorno essi credettero di essere finiti in un’imboscata,
in tre seguirono un libico per tre Km nel deserto per avere un po’ di generi
alimentari in cambio di vestiario.
Raggiunsero un accampamento, si videro circondati, invece
li accolsero benevolmente e dettero loro del cibo, la fortuna li aveva
assistiti, se fossero stati uccisi non li avrebbero più trovati.
Mio padre faceva parte del carro officina addetto alla
manutenzione.
In Somalia distillavano l’acqua lungo il fiume Giuba
infestato dai coccodrilli, un suo commilitone scivolò nell’acqua e in un
attimo, prima che potessero intervenire per aiutarlo, un coccodrillo lo sbranò.
Ne ha passate e viste di tutti i colori, ha vissuto nel pericolo per
anni, ha sofferto la fame, ha preso dissenterie e malaria, ha visto impazzire e
morire molti compagni d’armi, ma il Signore ha voluto che nell’aprile del 1946
ritornasse a casa. [...]
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