Il ricordo di un giovane innovatore spilambertese:
Remo Drusiani (1921-1946)
(1939?
1940? – Remo Drusiani, in alto a sinistra, con numerosi Aspiranti ed Effettivi
di A. C.
dell’Associazione di Spilamberto –
Fotografia tratta dalla pubblicazione da cui
si sono state raccolte le notizie per la stesura della presente “Caramella”.)
Raccogliere
le foglie degli olmi e dei gelsi, tagliare il mais da foraggio, voltare l’erba
falciata, fare la guardia davanti ai buoi: sono attività che fanno parte della
vita di un contadino.
Chi
svolge tali lavori fin dalla tenera età è un bambino, nato in una vecchia casa
di S. Vito, decimo di 11 figli. Remo Drusiani nasce il 9 giugno 1921 in una
numerosa famiglia rurale, quelle di una volta, con solide radici religiose che
si trasmettono a lui. A convincere il padre del valore della scelta del figlio,
quella di seguire la sua vocazione, è l’arciprete don Bondi. A 11 anni, al
termine delle elementari, Remo chiede di andare in Seminario a Nonantola per diventare
sacerdote. Le spese dei vestiti, dei libri e della retta seminariale vengono
sostenute da alcune generose signore.
I
risultati degli studi nei primi due anni sono brillanti; tra i suoi interessi,
oltre alle materie religiose, vi è l’italiano (il suo insegnante è don Elio
Monari) e il latino. Nelle omelie, che scrive come esercitazioni scolastiche,
sottolinea l’importanza della meditazione ed insiste sulla necessità di educare
i giovani. Si tratta di riferimenti che orienteranno sempre la sua vita. Nel
corso degli studi conosce due spilambertesi: Glauco Graziati e Luigi Campagnoli
che diventeranno sacerdoti.
Ed
eccolo, nelle pause estive dedicarsi ai ragazzi del paese. Assieme agli altri
seminaristi li riunisce, dopo la visita in chiesa li porta sulle rive del
Panaro: nascondino, guardia e ladri, gioco della palla negli spazi erbosi, ma
scalzi per non consumare le scarpe.
Il
Gesù a cui lui pensa è quello che dice “Lasciate che i fanciulli vengano a me”.
Quando,
nel maggio 1939, nel Seminario modenese riceve la notizia della madre morente si
reca a Spilamberto in bicicletta, sotto una pioggia torrenziale, in tempo per
vedere la madre ancora in vita, ma si ammala di pleurite. Non può tornare in
seminario per la malattia; studia con successo a casa, ed anche dopo un
ricovero all’ospedale Ramazzini non potrà riprendere la frequenza. Il tempo
passa e si insinua la paura del cosiddetto “mal sottile”. In seguito, uno
specialista di malattie polmonari esprimerà la sua diagnosi: tubercolosi.
Remo
si dedica, nonostante tutto, a realizzare il suo ideale educativo. L’Azione
Cattolica di Spilamberto, legata ad una concezione vecchia quanto al rapporto
con i giovani, subisce una svolta radicale nell’estate del 1941, proprio ad
opera di Remo, in quel periodo un po’ ristabilito. Egli vuole dare ai giovani
“una soda formazione religiosa, culturale ed una salda organizzazione, con
l’esercizio di pratiche di pietà, lo studio, i programmi di cultura religiosa e
la creazione di quadri dirigenti dell’Azione Cattolica”. Un progetto ricco ed
ambizioso; infatti c’è sì la formazione spirituale, ma anche lo stimolo allo
studio in un realtà culturalmente povera, oltre all’obiettivo di formazione “dei
quadri dirigenti”, quale investimento per il futuro.
Mentre
la guerra imperversa e distrugge, Remo costruisce.
Intanto
la malattia peggiora e lui viene allontanato di nuovo dal Seminario.
“Lor
i-nn’ann menga vlu fêr un caplan: e nuêter agh faràm saltêr fòra un canonic” (“Loro
non hanno voluto un cappellano, noi ne faremo un canonico”), commenta polemico
don Bondi.
Remo
si dedica così totalmente ai giovani.
La
sua Associazione della “Gioventù maschile di A. C.”, con sede in canonica, è
appoggiata da don Bondi. Viene stabilita una “Regola” e gli Aspiranti si
radunano nella stanza che dà sul portico. Si scrive, si lavora, si canta, si
disegna; si realizzano mostre, recite e incontri con i genitori. Gli
spettacoli, detti “Accademie”, sono rappresentati nel teatrino di via Monache o
nella sala in via S. Carlo.
L’attività
rivolta ai giovani non è però di comune gradimento e Remo viene anche
minacciato da un esponente fascista. Nel '43 - '44 vengono organizzate adunanze
clandestine per i Dirigenti di A. C. Il programma educativo di Remo è ribadito
in una lettera che lui scrive da Gaiato, dove è ricoverato per un
peggioramento: “pietà” (cioè frequenza alle pratiche religiose), “purezza e
studio”.
Remo
muore nella notte tra il 24 e 25 aprile 1946, senza essere diventato il
sacerdote che desiderava. Ma... “A Spilamberto nacque negli anni dell’angoscia
un metodo nuovo e gioioso di stare con i ragazzi, una pedagogia per la
generazione che sale” (cit. da don L. Campagnoli).
Remo, pur giovane, ha dato una svolta radicale all’A.
C. di Spilamberto, ha contribuito a formare religiosamente e culturalmente una
generazione. Basti ricordare: Renato Peri e Tonino (“Nino”) Cioni. Costoro, insieme
a tanti altri che lo hanno conosciuto e seguito affettuosamente nel suo
percorso di vita, a 50 anni dalla morte, ne hanno voluto lasciare memoria con
un libretto ricco di testimonianze. Da questa pubblicazione abbiamo tratto le
presenti notizie: “Remo. Una biografia di
Remo Drusiani”, Barghigiani Editore, Bologna 1996.
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