Da
“Ricordi di una ragazzina”, di
Liliana Malferrari
(stampato nel dicembre del 2015).
Parte sesta
(Liliana dentro una bacinella: aveva 15 anni e si
trovava su un terrazzo dell’albergo dove lavorava in Svizzera.)
[…]
Passano gli anni. A 14 anni mi innamoro del mio Nini. Lui aveva 15 anni. Oggi,
dopo 60 anni di matrimonio, siamo ancora assieme, anche con le nostre
discussioni.
Questo
fidanzamento fu molto burrascoso perché i nostri genitori fecero di tutto per
dividerci. Mia madre mi mandò a servizio dalla famiglia Pederzini a San
Pellegrino, così ci saremmo visti meno, ma noi facemmo di tutto pur di rivederci.
Una sera, quando furono tutti a dormire, scesi giù dalla finestra della scala,
ma non riuscii a risalire e dovetti andare a chiedere aiuto a una famiglia
vicina. Un’altra sera lo feci entrare nella villa di nascosto, lo nascosi sotto
un divano talmente basso che faticò tanto ad uscire, ma la nostra storia
continuò fino a che, a 15 anni, andai a lavorare in Svizzera, con una figlia di
mia nonna Faustina perché, essendo minorenne, non potevo girare da sola e non
potevo lavorare, in più ero clandestina.
Andai
a lavorare in un ristorante a Brunnen, nel cantone tedesco, senza sapere una
parola di tedesco. Mi ricorderò sempre che arrivammo ed era già buio. In mezzo
al ristorante c’era un tavolo rotondo con la cena pronta, ma quando guardai il
piatto non riuscii a mangiare: era pieno di spaghetti conditi con insalata e
zucchero. In compenso mangiai un pezzetto di cioccolato e andai a dormire,
perché al mattino dovevo cominciare il lavoro. Dovevo aprire io il locale alle
sei di mattina, pulire e servire le bevande ai clienti: birra, grappini, caffè
e la prima colazione. La prima mattina venne ad insegnarmi la signora; lei era
ticinese e parlava l’italiano: quando si è giovani si impara in fretta. C’era
un vecchietto pensionato italiano, era il primo cliente e veniva tutte le
mattine e fu lui che mi insegnò piano piano il tedesco. Alle otto scendeva la
ragazzina che mi dava il cambio e io salivo in cucina per aiutare a preparare
il pranzo, una cucina tutta diversa dalla nostra. Poi c’erano da fare le
pulizie, lavare, stirare. Poi si cenava e si andava a dormire stanchissime. Si
guadagnavano pochi franchi. Per fortuna quando servivi i clienti ti davano la
mancia, che era obbligatoria.
Brunnen era un bel paese turistico con un bel lago:
quella era la nostra passeggiata di tre ore domenicale. Noi italiani non ci
volevano. Sulle porte dei locali c’erano dei cartelli con scritto “Qui non
entrano cani italiani”. Poi venne anche mio fratello e così ci facemmo tanta
compagnia. Lui mangiava e dormiva dove lavoravo io e quando si poteva si
facevano lunghe passeggiate in riva al lago. Per fortuna la mia padrona mi
voleva tanto bene e mi faceva qualche regalino. Non si stava male, ma neanche
bene. […]
Nessun commento:
Posta un commento