giovedì 22 marzo 2018

PAGINE DI DIARIO / 25

Da “Per piacere non buttatemi via”, di Franca Santunione.



(Ecco i “giardinetti” ai quali accenna Franca nel suo diario.
Fotografia scattata da Paola Forghieri prima della ristrutturazione
dell’apparato architettonico del “Piazzale della Rocca”.)




Parte undicesima


[…] Quattro o cinque anni dopo la guerra, erano stati costruiti  nel Piazzale due piccoli giardinetti, con cinque o sei alberi per parte, e due panchine, sempre per parte.
Due di queste panchine erano una di fronte all’altra, ma divise dal tratto di strada che dalla Piazza portava all’ingresso principale della Rocca, le altre due erano una su via Monache e l’altra su via Obici.
Dopo cena noi ragazze eravamo le prime ad uscire di casa per occupare una delle panchine che si fronteggiavano, perché da quella posizione si vedeva tutta la Piazza, poi all’arrivo delle persone adulte ci alzavamo per andare a spasso, e se faceva freddo si andava al cinema: verso i diciott’anni incominciai ad andare a ballare.
In paese non c’era una sala da ballo invernale, così quando era possibile si andava nei paesi vicini; ma spostarsi era ancora difficile. Erano ancora pochi quelli che erano riusciti a comprarsi un’auto;
qualcuno più fortunato aveva una vespa o una lambretta e chi aveva una moto di solito era un meccanico. I ragazzi, quando ne avevano la possibilità, la macchina la prendevano a noleggio.
In paese c’era una sala da ballo ma era solo estiva e anche bruttina, ma era meglio di niente: quando si è giovani basta poco per divertirsi.
Sembrava che la gioia di vivere uscisse da ogni poro, tanto era incontenibile. Quando camminavo avevo una sensazione strana, come se il corpo non avesse peso: mi sembrava di non toccare la terra.
Questo, penso, fosse normale a quell’età per tutti i ragazzi, ma non ho mai fatto indagini, specie con le amiche; temevo che mi dicessero che ero un po’ esaltata.
Beh, devo confessare che tanto normale non ero.
Mi viene in mente che, quando avevo circa quindici anni, un pomeriggio ci fu il funerale di un ragazzo morto in un incidente. Sembrava che dentro e fuori dalla chiesa ci fosse tutto il paese. Tutti commossi e piangenti. Nel vedere tutta quella commozione, ho pensato:«Mi piacerebbe morire anch’io!».
E immaginavo tutte quelle persone che dicevano:«Oh! povera Franca! una creatura così buona e brava! Non meritava un così infame e crudele destino!».
Invece di pensare a quel povero ragazzo, ero tutta commossa su me stessa: ero proprio scema!
Devo dire che ho avuto il buon senso di non farmi più venire di questi funesti pensieri.
Io credo che il pensare che tutte quelle persone commosse per la mia dipartita fosse come se mi avessero detto che mi volevano bene... continuavo a portarmi addosso un grande bisogno di essere amata, e volevo disperatamente sentirmelo dire! […]

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