Da
“Per piacere non buttatemi via”, di
Franca Santunione.
(Ecco i “giardinetti” ai quali accenna Franca nel suo
diario.
Fotografia scattata da Paola Forghieri prima della ristrutturazione
dell’apparato architettonico del “Piazzale della Rocca”.)
Parte undicesima
[…] Quattro o cinque anni dopo la
guerra, erano stati costruiti nel Piazzale
due piccoli giardinetti, con cinque o sei alberi per parte, e due panchine,
sempre per parte.
Due di queste panchine erano una
di fronte all’altra, ma divise dal tratto di strada che dalla Piazza portava
all’ingresso principale della Rocca, le altre due erano una su via Monache e
l’altra su via Obici.
Dopo cena noi ragazze eravamo le
prime ad uscire di casa per occupare una delle panchine che si fronteggiavano,
perché da quella posizione si vedeva tutta la Piazza, poi all’arrivo delle
persone adulte ci alzavamo per andare a spasso, e se faceva freddo si andava al
cinema: verso i diciott’anni incominciai ad andare a ballare.
In paese non c’era una sala da
ballo invernale, così quando era possibile si andava nei paesi vicini; ma
spostarsi era ancora difficile. Erano ancora pochi quelli che erano riusciti a
comprarsi un’auto;
qualcuno più fortunato aveva una
vespa o una lambretta e chi aveva una moto di solito era un meccanico. I
ragazzi, quando ne avevano la possibilità, la macchina la prendevano a
noleggio.
In paese c’era una sala da ballo
ma era solo estiva e anche bruttina, ma era meglio di niente: quando si è
giovani basta poco per divertirsi.
Sembrava che la gioia di vivere
uscisse da ogni poro, tanto era incontenibile. Quando camminavo avevo una
sensazione strana, come se il corpo non avesse peso: mi sembrava di non toccare
la terra.
Questo, penso, fosse normale a
quell’età per tutti i ragazzi, ma non ho mai fatto indagini, specie con le
amiche; temevo che mi dicessero che ero un po’ esaltata.
Beh, devo confessare che tanto
normale non ero.
Mi viene in mente che, quando
avevo circa quindici anni, un pomeriggio ci fu il funerale di un ragazzo morto
in un incidente. Sembrava che dentro e fuori dalla chiesa ci fosse tutto il
paese. Tutti commossi e piangenti. Nel vedere tutta quella commozione, ho
pensato:«Mi piacerebbe morire anch’io!».
E immaginavo tutte quelle persone
che dicevano:«Oh! povera Franca! una creatura così buona e brava! Non meritava
un così infame e crudele destino!».
Invece di pensare a quel povero
ragazzo, ero tutta commossa su me stessa: ero proprio scema!
Devo dire che ho avuto il buon
senso di non farmi più venire di questi funesti pensieri.
Io credo che il pensare che tutte quelle persone commosse
per la mia dipartita fosse come se mi avessero detto che mi volevano bene...
continuavo a portarmi addosso un grande bisogno di essere amata, e volevo
disperatamente sentirmelo dire! […]
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