Spilamberto 1850: i
barbieri e la porta socchiusa
Anni Cinquanta del Novecento, via del Borgo –
oggi via F. Roncati –
Barbieri davanti al loro negozio, da sinistra:
Nino
Ferioli, Afro Pelliciari, Luigi Orsi detto “Gigiulèin”.
Fotografia: raccolta
privata.
La
polemica sul lavoro nei giorni festivi si è sviluppata da quando il governo
Monti ha liberalizzato la materia. Ricorrenti sono state le polemiche dei
sindacati, con l’intervento addirittura del Papa a proposito del Natale, quando
ha affermato che vuole la domenica “giorno di gioia e di astensione dal lavoro”.
Ora è allo studio del Parlamento una proposta di legge con l’obiettivo di cancellare quanto è stato
precedentemente introdotto.
Due
documenti, conservati nell’Archivio Storico Comunale di Spilamberto, datati
1850, sembrano parlarci di oggi: il problema è analogo, ma con un punto di
vista sorprendente. Andiamo a leggerli. Si tratta di una richiesta dei barbieri
di Spilamberto: l’Ispettorato di Polizia li ha avvisati che dovranno chiudere
le loro botteghe alle ore 10 del mattino di ogni festivo e riaprirle solo nel
seguente giorno feriale.
I
barbieri scrivono al “Marchese Consigliere di Stato”, probabilmente Giuseppe Rangoni
Machiavelli, e, pur giudicando la richiesta dell’Ispettorato “giusta e santa”,
gli fanno presente che “le circostanze del luogo e del loro bisogno” si
oppongono a tale disposizione. Il documento così continua:
“In
Spilamberto l’unico giorno in cui si presenta a farsi radere veramente discreto
numero di concorrenti (clienti) stabili ed avventizi
(saltuari) si è il festivo”. Non
solo: “Nel giorno di lavoro inutilmente assistono (stanno) al negozio e nelle
ore festive del mattino sino alle dieci non potrebbero soddisfare al bisogno
degli avventizi stessi, contadini di condizione, i quali per la metà parte
vengono più tardi al paese e solo quando quelli che intervennero alla prima
messa son ritornati a casa per dar luogo all’altra metà di venire all’ultima”.
Non basta ancora: “in niun altro
giorno vi è in questo paese concorso di gente per non esservi mercato od altro
titolo di richiamo”.
I barbieri aggiungono anche il loro
bisogno: “I ricorrenti poi padri di numerosa famiglia senz’altro mezzo a
guadagnarsi il vitto per sé e per la prole sarebbero ridotti all’estrema
miseria, se loro venisse proibito di proseguire a porte socchiuse il loro
mestiere fino a mezzodì, come anche di potere dopo pranzo, dopo l’uffiziatura
di chiesa, rimettersi sempre a porta socchiusa al servigio degli avventori”.
Questo
perciò chiedono “di potere anche dopo le ore 10 del mattino festivo e nel dopo
pranzo dopo l’uffiziatura di chiesa stare nelle rispettive botteghe colle porte
socchiuse attendere a radere le barbe come sempre fu costì tollerato, a non
privarli di questo mezzo di guadagno pel loro bisogno”. Seguono le firme dei
barbieri del paese: Giovanni Orsi, Gaetano della Valle, Pietro Vandelli,
Giuseppe Fabriani, Sante Parmigiani.
La
risposta che viene inviata dal governo a Rangoni, quale intermediario, a noi
suona un po’ beffarda ed è datata 30 luglio 1850:
“si
abilita la delegazione politica di Vignola a permettere che i petenti (i
barbieri) possano esercitare il loro mestiere fino alle ore 11 antimeridiane
con che dalle 10 alle 11 tengano la porta socchiusa”. Non importa analizzare
più a fondo il documento che ci interessa per quei nomi e ai fini del
collegamento con l’attualità, esso ci dice già tanto.
Il nostro Archivio
Comunale non finisce di riservarci sorprese!
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