mercoledì 14 novembre 2018

LE RECENSIONI DI N.A.S.CO / 4 (sesta parte)


SQUILLA L’ORA DELLA BEFFA




Incalzati dall’armata del conte, gli Spilambertesi in fuga tentano di uscire da S. Cesario: nel caos avviene un colpo di scena.
La tensione è elevata, la situazione è confusa : “gli invasori (cioè gli spilambertesi), /cacciati indietro d’ogni direzione,/cercavan solamente d’andar fuori./”  
La descrizione successiva crea attesa:  “Non lungi dalla porta mezzogiorno, /proprio di fianco al primo crocevia, /v’era un palazzo dove avea soggiorno/il Podestà con la burocrazia;/palazzo ch’era sul frontone adorno/d’un balcone che sporgeva sulla via”.
Il rumore della fuga è ormai lontano. Nella narrazione compare la protagonista, la squilla, e la vicenda ha una svolta decisiva:  “e a quel balcone ,/ campana meglio dire campanella,/una squilla più grande di un pitale,/ma non più grande di una bacinella,/però di bronzo, e ornata niente male,/che a mezzo di una lisa funicella/venia fatta suonar dal davanzale/per dar l’allarme in caso di periglio/o per chiamare il popolo a consiglio/”.
La squilla del titolo, così svilita, persa la nobiltà del suono, rivela anche nel nome la parentela con la modesta Secchia cantata dal Tassoni. Sul balcone “appollaiato come una civetta” si trova Valdemaro,  “che non perse la testa in quei frangenti/ma essendo di mestiere campanaro/ritenne più opportuno dar l’allarme/che non cercar di procurarsi l’arme”; “la corda strattonava con passione/riempiendo l’aria di un concerto”. “E proprio a causa della sua perizia,/quando il nemico mosse in ritirata/nel suonar suo si colse la letizia…/ma non soltanto: con sottil malizia/ogni rintocco della scampanata/seguiva i ritmi dell’indietreggiare/ e sembrava i fuggiaschi sbeffeggiare”.
Guai però prendere in giro gli spilambertesi “E fu così che tre spilambertesi,/un Sirotti, un Zanotti e un Vaccari,/che si sentiron da quel suono offesi,/pensarono di fare i conti pari/con i motteggi dei sancesaresi.”
Questi salgono sul balcone per dare una lezione al campanaro che fugge. Stanno per inseguirlo quando un ultimo rintocco flebile della campana fa venire l’idea: portare via la campana stessa: “la campanella fu dal mur schiodata,/quindi carcata in spalla ad un di loro/e infine fuori del porton portata./E in mezzo al battaglion spilambertese/lasciò quella campana il suo paese.”
I sancesaresi insultano i fuggiaschi e non li inseguono, ma quando Valdemaro, urlando, li informa del furto si mettono a correre verso gli spilambertesi. Lo scontro ormai ha un motivo reale, il furto di un simbolo: ne va della dignità del paese. Il contatto tra i due contendenti sta per avvenire quando, come in ogni western che si rispetti, arrivano i nostri; e non manca nemmeno la tromba del 7^ cavalleggeri.
“Ma quando un branco l’altro ormai toccava/un nuovo suon portato fu dal vento/ed era lo squillar delle fanfare/di un’armata in procinto di arrivare. /Al risuonar dei guerreschi squilli/si fermaron fuggiaschi e inseguitori/che dovean, per poter esser tranquilli, /veder di quell’esercito i colori./Tolsero il dubbio i primi due vessilli/che da dietro un vigneto venner fuori:/ il bianco-verde li dicea per certo/dalla parte di quei di Spilamberto.”
Scorrerà del sangue?

[Citazioni da "La squilla rapita" di Lamberto da Spiniosilva (pseudonimo di Silvio Cevolani), Mercatino di via Obici, CXXVII Fiera di San Giovanni, Spilamberto, 24 giugno 1997; disegno di Gustavo Cevolani dall'edizione originale].

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