mercoledì 19 dicembre 2018

LA MEMORIA IN TAVOLA: LE RICETTE DI MARNA / 7

Gli amaretti di Spilamberto



Parte prima
               
G
              Gli amaretti erano un dolce delle feste, l’alto costo delle mandorle lo rendevano un biscotto prezioso, le famiglie contadine spesso mettevano da parte le armelline delle albicocche per la loro preparazione. A casa mia si preparavano solo a Natale o con l’arrivo di parenti che venivano da lontano. A questi se ne regalavano sempre da portare a casa confezionati con un imballaggio speciale: una elegante scatola di cartone, munita di coperchio, color paglierino, adornata ai lati interni da un candido pizzetto di carta. Noi gli amaretti andavamo a cuocerli al “Forno di Baccolini”.  Oltre alle teglie, per foderarle ed evitare che si attaccassero, ci veniva consegnata la carta del sacco della farina; dopo averla sistemata bene sulla teglia, mettevamo  a  piccoli mucchietti ben distanziati l’impasto che si era preparato a casa.
Tolti dal forno occorreva lasciarli raffreddare benissimo prima di staccarli dalla carta; spesso si impilavano i vari fogli e si staccavano una volta giunti a casa.
Oggi io preparo gli amaretti con la ricetta di mia nonna Iside.
Per una decina di amaretti occorrono: 1 albume, 100 gr. di zucchero, 100 gr. di mandorle, 5 o 6 mandorle amare. Il mio procedimento è quello che usava mia nonna con piccole varianti per aumentarne il sapore.  Utilizzo le mandorle con la buccia, le metto in un tegame con acqua fredda, porto a bollore, le tolgo dal fuoco e le pelo. Le faccio asciugare in forno per una decina di minuti a 150°. Le trito nel mixer (sarebbe meglio a coltello) assieme a quelle amare aggiungendo 1 o 2 cucchiaini di zucchero tolto dal peso che mi occorre per preparare la dose stabilita. Monto a neve ben ferma gli albumi con alcune gocce di succo di limone, aggiungo molto lentamente e a più riprese lo zucchero rimasto cercando di non smontare l’albume, unisco le mandorle macinate e un pizzico di sale. Lascio riposare l’impasto una mezz’oretta mescolando di tanto in tanto. Dispongo l’impasto a mucchietti grandi quanto una noce su carta forno, li spolvero in superfice con un pizzico di zucchero e inforno a 160° per 25 minuti.
Difficile trovare due amaretti simili, ogni famiglia ha il proprio segreto; io e mio zio Mauro, figlio di mia nonna Iside, li prepariamo con la stessa ricetta e otteniamo  due risultati diversi e sono molto più buoni i suoi, dice lui! Sono più di quarant’ anni che li preparo con la stessa ricetta, ma un fatto mi obbliga a prepararli con un altro procedimento .
Sempre, mentre si mangia si parla di cibo, così, parlando di amaretti,  tra una tigella e  l’altra, con la presunzione che la propria sia la “vera” ricetta tradizionale degli amaretti, la signora Vanna Tagliazucchi mi svela il segreto della vera ricetta antica e racconta: “... Alle mandorle tritate si unisce lo zucchero, (lo zucchero io lo aggiungo agli albumi) così  trattiene bene l’olio, poi, lentamente, si unisce l’albume montato a neve. Si deve mescolare molto bene, l’impasto “l’ ha da fer la tìa…”.
Che dire? Io ho capito  cosa intende, ma spiegarlo…! È un impasto consistente, che tiene, che lo senti, che, quando lo porzioni, un po’ fila.
La differenza tra le due preparazioni non è tanta perché sono simili nel sapore, mentre nella consistenza quelli di Vanna all’interno sono morbidi, friabili, un po’ spumosi, li senti sciogliere in bocca, i miei hanno sì l’interno morbido, ma è più consistente e compatto.
Ma la ricetta antica quale sarà? [...]

Arrivederci alla seconda puntata!


Nessun commento:

Posta un commento