Gli amaretti di
Spilamberto
Parte prima
G
Gli amaretti erano un dolce
delle feste, l’alto costo delle mandorle lo rendevano un biscotto prezioso, le
famiglie contadine spesso mettevano da parte le armelline delle albicocche per
la loro preparazione. A casa mia si preparavano solo a Natale o con l’arrivo di
parenti che venivano da lontano. A questi se ne regalavano sempre da portare a
casa confezionati con un imballaggio speciale: una elegante scatola di cartone,
munita di coperchio, color paglierino, adornata ai lati interni da un candido
pizzetto di carta. Noi gli amaretti andavamo a cuocerli al “Forno di Baccolini”. Oltre alle teglie, per foderarle ed evitare
che si attaccassero, ci veniva consegnata la carta del sacco della farina; dopo
averla sistemata bene sulla teglia, mettevamo a piccoli
mucchietti ben distanziati l’impasto che si era preparato a casa.
Tolti dal forno occorreva lasciarli raffreddare
benissimo prima di staccarli dalla carta; spesso si impilavano i vari fogli e
si staccavano una volta giunti a casa.
Oggi io preparo gli amaretti con la ricetta di mia
nonna Iside.
Per una decina di amaretti
occorrono: 1 albume, 100 gr. di zucchero, 100 gr. di mandorle, 5 o 6 mandorle
amare. Il mio procedimento è quello che usava mia nonna con piccole varianti
per aumentarne il sapore. Utilizzo le
mandorle con la buccia, le metto in un tegame con acqua fredda, porto a
bollore, le tolgo dal fuoco e le pelo. Le faccio asciugare in forno per una
decina di minuti a 150°. Le trito nel mixer (sarebbe meglio a coltello) assieme
a quelle amare aggiungendo 1 o 2 cucchiaini di zucchero tolto dal peso che mi
occorre per preparare la dose stabilita. Monto a neve ben ferma gli albumi con
alcune gocce di succo di limone, aggiungo molto lentamente e a più riprese lo
zucchero rimasto cercando di non smontare l’albume, unisco le mandorle macinate
e un pizzico di sale. Lascio riposare l’impasto una mezz’oretta mescolando di
tanto in tanto. Dispongo l’impasto a mucchietti grandi quanto una noce su carta
forno, li spolvero in superfice con un pizzico di zucchero e inforno a 160° per
25 minuti.
Difficile trovare due amaretti
simili, ogni famiglia ha il proprio segreto; io e mio zio Mauro, figlio di mia
nonna Iside, li prepariamo con la stessa ricetta e otteniamo due risultati diversi e sono molto più buoni
i suoi, dice lui! Sono più di quarant’ anni che li preparo con la stessa
ricetta, ma un fatto mi obbliga a prepararli con un altro procedimento .
Sempre, mentre si mangia si parla
di cibo, così, parlando di amaretti, tra
una tigella e l’altra, con la presunzione
che la propria sia la “vera” ricetta tradizionale degli amaretti, la signora
Vanna Tagliazucchi mi svela il segreto della vera ricetta antica e racconta: “...
Alle mandorle tritate si unisce lo zucchero, (lo zucchero io lo aggiungo agli
albumi) così trattiene bene l’olio, poi,
lentamente, si unisce l’albume montato a neve. Si deve mescolare molto bene,
l’impasto “l’ ha da fer la tìa…”.
Che dire? Io ho capito cosa intende, ma spiegarlo…! È un impasto
consistente, che tiene, che lo senti, che, quando lo porzioni, un po’ fila.
La differenza tra le due
preparazioni non è tanta perché sono simili nel sapore, mentre nella
consistenza quelli di Vanna all’interno sono morbidi, friabili, un po’ spumosi,
li senti sciogliere in bocca, i miei hanno sì l’interno morbido, ma è più
consistente e compatto.
Ma la ricetta antica quale sarà?
[...]
Arrivederci alla seconda puntata!
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