mercoledì 26 dicembre 2018

LA MEMORIA IN TAVOLA: LE RICETTE DI MARNA / 7 (II parte)

Gli amaretti di Spilamberto


1916 - Da destra: Concetta Sirotti detta “Gemma”, Athos Nazareno Freschi, Anna Freschi. 
“Gemma” era mamma di Mario Freschi e moglie di Ariodante Freschi,
il cui fratello possedeva la privativa per sale tabacchi a Spilamberto.



Timbro originale di proprietà della nipote di “Gemma del forno”.


Seconda ed ultima parte

[...] Scopro che quel procedimento è lo stesso delle donne entrate nella storia degli amaretti spilambertesi: Maria Lambertini Scarabelli, Maria e Concetta Sirotti, quest’ultima conosciuta come “Gemma del forno” e tante altre che continuano a produrli e a venderli.

È molto difficile risalire a chi ha inventato la ricetta degli amaretti.

Fin dal Medioevo la mandorla era uno degli ingredienti più usati nelle cucine di corte; il suo latte e burro era un’alternativa alla carne nei periodi di Quaresima, era un addensante, naturale per brodi e salse. Un biscotto che ci riconduce all’amaretto sembra essere nato in Italia durante il Rinascimento, con ingredienti aggiunti quali, farina, zafferano e spezie varie, ingredienti indispensabili per la cucina di quell’epoca.
L’amaretto dei nostri giorni, secondo le fonti più accreditate, sarebbe stato inventato in Piemonte nella metà del Settecento,  si  è poi  diffuso in molte regioni d’Italia, dal nord al sud.  Anche se gli ingredienti sono sempre gli stessi (mandorle, zucchero e albumi) si differenziano a secondo delle tradizioni locali: a volte morbidi o croccanti, o secchi come quelli di Saronno famosi in tutto il mondo; variabili nella friabilità e nell’intensità amarognola.
La particolarità di quelli di Spilamberto è che sono croccanti fuori, morbidi dentro; questa è la caratteristica che li differenzia da quelli di Modena, più secchi.
Per anni sono rimasti solamente  una consuetudine familiare.
Fu la famiglia Goldoni verso la fine dell’Ottocento a commercializzare gli amaretti a Spilamberto. La loro pasticceria  era molto rinomata; la cottura degli amaretti avveniva nel forno di Concetta Sirotti, detta “Gemma del forno”. Con la cessata attività della pasticceria Goldoni, avvenuta nel 1930, Concetta, che aveva imparato e iniziato a preparare gli amaretti, continuò la produzione e vendita fino al 1933, momento in cui trasmise a sua cugina Maria e ad alcune amiche la ricetta. 
C’è chi ama attribuire la caratteristica che distingue gli amaretti di Spilamberto alla signora Goldoni, in quanto prima produttrice e divulgatrice del prodotto. Gli storici la vorrebbero uscita dalle cucine nobili e si ipotizza l’apprezzamento di questo biscotto da parte dei marchesi Rangoni.
Se non fosse per il piccolo quantitativo di farina di riso, la ricetta che  considero più simile all’attuale è scritta nel ricettario di Ferdinando Cavazzoni (un libro di cucina modenese del 1886) credenziere di casa Molza,  anch’essi nobili e proprietari terrieri a Spilamberto: 
“Prendete mezza libbra (225 gr.) di mandole dolci e 60 gr. di mandole amare pelate unitamente alla metà d’un bianco d’uovo, si pestano nel mortaio, mettetele in un catino con 50 gr. di farina di riso, 3 hg. di zucchero in polvere, 4 bianchi d’uova montati; mescolando mettete la pasta così fatta sopra a fogli di carta a piccole porzioni, fate cuocere in forno non troppo caldo dopo averli spolverizzati di zucchero”.
Deduco che, dalle ricette qui riportate, le indicazioni che più si avvicinano  alla tradizione sono quelle in cui si prevede di unire lo zucchero alle mandorle e non la mia che prescrive di unire lo zucchero agli albumi.
A questo punto mi chiedo: ma dove ha preso la ricetta mia nonna Iside?

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