Un vecchio adagio modenese recita, in una delle sue versioni: “Ai tèimp dal Dóca as magnéva i turté coun la zóca; adèsa ch’a ghè al Rè, an s’màgna ménga tótt i dè”.
Leggendo
le prime pagine della ricerca di Chirio Caprara, sembra che questo
discorso possa essere applicato anche a Spilamberto, il quale riportò
numerosi danni in seguito al passaggio dal Ducato Estense al Regno
d’Italia: basti pensare alla ridefinizione dei confini che privò il
nostro Comune di territori come Castelnuovo e Magazzino. Iniziò così un
periodo di sostanziale decadenza per il paese, destinato ad essere pian
piano oscurato dall’ombra della vicina Vignola.
La ricerca di Chirio – che ha pazientemente raccolto, trascritto e analizzato parte della documentazione relativa agli anni postunitari conservata nel nostro Archivio – ci permette di ricostruire una situazione di grande fluidità istituzionale e territoriale, in cui i Comuni confinanti, approfittando degli sconvolgimenti portati dall’annessione al Regno d’Italia, lottano con (quasi) ogni mezzo per vedersi riconosciuto un pezzo di terra, cancellando stradelli, raccogliendo firme, litigando per un paletto posto pochi metri più in là o più in qua… Un atteggiamento che fa sorgere un’amara riflessione a proposito di quanto poco interesse oggi si presti a ciò che generazioni di spilambertesi hanno creato e curato nei secoli.
Ma il libro di Chirio non ricostruisce soltanto la complessa e affascinante questione dei confini, che ha definito l’identità anche odierna del paese; nelle pagine di “Spilamberto dal Duca al Re” troviamo infatti numerosissime informazioni e curiosità, spesso in grado di aprire fertili possibilità di confronto con l’oggi. Leggiamo così, a proposito di astensionismo e democrazia, che nelle elezioni comunali del 1860 gli spilambertesi aventi diritto al voto erano 178, di cui solo 64 si presentarono alle urne; veniamo a sapere che Spilamberto rischiò di perdere anche il territorio di San Vito, prossimo a passare sotto il comune di Castelnuovo; scopriamo, infine, come proprio con il passaggio ai Savoia inizi anche per le nostre terre un processo destinato a non fermarsi più, che vede la burocrazia invadere progressivamente un mondo in precedenza regolato dal concreto rapporto con il reale, dalle consuetudini, dalle tradizioni: un mondo con meno leggi, ma forse più umano.
La ricerca di Chirio – che ha pazientemente raccolto, trascritto e analizzato parte della documentazione relativa agli anni postunitari conservata nel nostro Archivio – ci permette di ricostruire una situazione di grande fluidità istituzionale e territoriale, in cui i Comuni confinanti, approfittando degli sconvolgimenti portati dall’annessione al Regno d’Italia, lottano con (quasi) ogni mezzo per vedersi riconosciuto un pezzo di terra, cancellando stradelli, raccogliendo firme, litigando per un paletto posto pochi metri più in là o più in qua… Un atteggiamento che fa sorgere un’amara riflessione a proposito di quanto poco interesse oggi si presti a ciò che generazioni di spilambertesi hanno creato e curato nei secoli.
Ma il libro di Chirio non ricostruisce soltanto la complessa e affascinante questione dei confini, che ha definito l’identità anche odierna del paese; nelle pagine di “Spilamberto dal Duca al Re” troviamo infatti numerosissime informazioni e curiosità, spesso in grado di aprire fertili possibilità di confronto con l’oggi. Leggiamo così, a proposito di astensionismo e democrazia, che nelle elezioni comunali del 1860 gli spilambertesi aventi diritto al voto erano 178, di cui solo 64 si presentarono alle urne; veniamo a sapere che Spilamberto rischiò di perdere anche il territorio di San Vito, prossimo a passare sotto il comune di Castelnuovo; scopriamo, infine, come proprio con il passaggio ai Savoia inizi anche per le nostre terre un processo destinato a non fermarsi più, che vede la burocrazia invadere progressivamente un mondo in precedenza regolato dal concreto rapporto con il reale, dalle consuetudini, dalle tradizioni: un mondo con meno leggi, ma forse più umano.
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