(Pastello di Cristina Grandi)
Un palo
sormontato da un “Berretto frigio” rosso e da bandiere piantato a Parigi nel
1790, l’Albero della Libertà divenne subito il simbolo della Rivoluzione
francese e della caduta della monarchia.
Si diffuse anche
in Italia e rappresentò l’entusiasmo per la caduta dei regimi assolutistici.
E a Spilamberto?
Andiamo in archivio.
Il 14 novembre
1796 Antonio Manni, podestà di Spilamberto, convocò affannosamente i componenti
la “Municipalità” di Spilamberto (Francesco Canevazzi, Giacinto Fabriani,
Andrea Manni, Giuseppe Pasqualini, Francesco Grandi, Maurizio Monsi), così si
definiva allora il “Consiglio comunale”.
Alcuni
spilambertesi avevano abbattuto, senza permesso, “una pioppa” nelle
“terre basse” dei Rangoni.
Leggiamo il
verbale originale:
“ [...] e con
grida ed evviva festevoli piantato circa l’ora di notte, segnatamente nella
Contrada di Mezzo in prossimità di questo pretorio” (si tratta dell’edificio
del vecchio Comune) “attorno al quale albero la stessa notte si è con
allegria mangiato e bevuto, suonato e ballato; sul quale albero si
leggono due emblemi a lettere maiuscole”: [...] “Libertà – Eguaglianza”
e “il popolo scannerebbe il Podestà presente”.
I
Municipalisti “deliberarono di far tutto presente al Comitato di Governo”
insediato a Modena, città che era stata occupata dai francesi sopprimendo la
Reggenza estense il 6 ottobre.
Occorrevano sollecite
istruzioni su come agire: di ciò si incaricò Pasqualini. Il podestà, Antonio
Manni, terrorizzato, pretese di essere sollevato dall’incarico “per rendere
così pago e quieto il popolo che così vuole e desidera, ma però di venire
frattanto assicurato della sua persona.”
L’episodio
mostra una Spilamberto goliardica e insoddisfatta dei propri dirigenti,
appartenenti alla stessa classe sociale presente da secoli al fianco dei
“Signori feudali Rangoni”.
L’ “Albero”
spilambertese, piantato proprio davanti al municipio, dice quanto
favorevolmente si accogliessero i “nuovi poteri”, e l’esplicita minaccia al
Podestà rappresenta un affronto all’autorità, una richiesta di rottura con il
passato.
Di quanti volessero
questo capovolgimento e con quale consapevolezza non vi sono documentazione e
certezza.
Indubbia è invece
l’eccitazione che l’atmosfera di cambiamento aveva prodotto; ce la testimoniano
le parole sopraccitate: “attorno al quale albero la stessa notte si è con
allegria mangiato e bevuto, suonato e ballato”.
E per ricordare
quanto il presente sia legato al passato possiamo chiederci: questo spirito di
aggregazione e festaiolo può indurci ad individuare una continuità storica
nella Spilamberto di oggi?
Diciamolo: “è
nell’anima del paese”!
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