(Disegno di Fabiano Amadessi)
Un menu
spilambertese
La vicenda della
“Squilla” si svolge al tempo in cui Federico Barbarossa e il Papa “si
rompean le ossa” l’un l’altro.
L’Imperatore era
sostenuto dai modenesi “perché il confine come a tutti è chiaro / era
proprio nel mezzo del Panaro”. Anche S. Cesario era collegato con i
modenesi ed era “avamposto primario”. Informato delle ostilità il conte
Boschetti, signore di S. Cesario, si preoccupa soprattutto di fare grande
scorta di spaghetti. All’inizio i modenesi hanno la meglio e cingono d’assedio
Castelfranco, ma questo procede con fatica. I modenesi allora trasmettono
richieste di vettovaglie, uomini e soldi ai “Castelli” vicini. Boschetti non
vuole privarsi di nulla, ma escogita di inviare un gruppo di sbandati del paese
in modo da liberarsi di loro. Il capitano dei balordi era Piccardo Malferro che
sarà il protagonista del poema: “Era costui d’ingegno, ma balzano, / tipografo,
cantante, magistrato, / frequente all’oste più che allo scrivano, / più al vino
che alle leggi dedicato, /sempre in baracca, sempre in compagnia / i giorni
suoi passava in allegria.” Della stessa risma erano i suoi compagni.
Piccardo,
chiamato dal Conte, viene spinto a partire per Castelfranco con la promessa di
conquistare bottino, donne e vino. Egli, con ancora i fumi dell’alcol della
sera precedente, “per via di un barillin
di trebbianello”, accetta e giura.
Torna dai compagni e riferisce la proposta, ma i suoi seguaci, trainati da
Farinazzo, si alzano e rifiutano con una gran cagnara. Piccardo, vedendosela
brutta, finge uno svenimento. A quel punto arriva un paggio, da parte del Conte,
che li invita al banchetto d’addio e dà lettura del menù.
Tale lista di
cibi è tipicamente modenese: noi, con una forzatura, l’abbiamo chiamata
spilambertese, perché l’autore è di Spilamberto e l’elenco propone veramente un
riassunto della nostra gastronomia. Leggendolo qui di seguito capirete perché
l’allegra compagnia cambiò idea e accettò la proposta del Conte.
“Tortellini
nel brodo di cappone, / lasagne, maccheroni pasticciati, passatelli, risotto al
peperone, / tagliatelle al ragù con maltagliati, / gramigna con salsiccia,
minestrone, / strichetti al pomodoro delicati, / tortelloni grondanti burro
fuso / con sopra un po’ di salvia come
d’uso. /
Bollito sia
di manzo che cappone, / mostarda con testina di vitello, / lenticchie,
cotechino, uno zampone, / gnocco fritto salame, culatello, / tigelle da
condire con l’aglione, o con, in cacciatora, un pollastrello. / Poi faraona
arrosto con erbetta, / costaiole, salsiccia e una porchetta. /
Se pur rimane
qualche bucanino, / si potrà aver frittelle ed erbazzone, / del grana
stagionato perbenino, / dei borlenghi, prosciutto con melone, / noci col pane,
pere e pecorino / e infine una montagna di bensone. / Da ber, sei damigiane di
lambrusco / ed una botte di nocin vetusto.”
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