Da “Per piacere non
buttatemi via”, di Franca Santunione.
Parte tredicesima
(Luogo in cui nel passato si trovava il ballo
all’aperto dove Franca conobbe il “suo Piero”
- angolo via San Giovanni e strada che porta sul ponte
di Spilamberto-)
[...] Lo guardai, e invece di
rispondere al suo saluto, mi chiedevo chi fosse, così lui continuò: «Sono uno
dei ragazzi che ha ospitato la sua amica, la quale ha spiegato la ragione per
cui lei non è voluta venire; allora mi sono permesso di venire io ad
invitarla».
Imbarazzatissima, risposi :
«La ringrazio ma ho deciso d’uscire».
«Se lei fa questo mi costringe
a seguirla! perché io non so lei chi è, né come si chiama, né dove abita. Ma so
una cosa... non voglio perderla!».
Avevo udito una cosa così
incredibilmente esagerata che avrei dovuto rispondere: «Ma come le va di fare
lo spiritoso!».
Invece scoppiai a ridere,
dicendo: «Oh santo cielo! Questo non mi era ancora capitato!».
Non si scompose. Piegò
leggermente la testa sulla spalla destra e guardandomi la bocca disse: «Una
bella ragazza così non poteva non avere anche un bel sorriso!».
Questo mi colpì perché lo
disse con un filo di voce come se parlasse a se stesso, così che risposi: «Beh,
questo è troppo! Sono quasi costretta ad accettare il suo invito!». Mi
ringraziò e andammo verso il tavolino. Lì giunti, ci furono le presentazioni.
Il ragazzo ch’era venuto ad invitarmi disse che senza tanti incrociamenti di
mani ognuno doveva dire il proprio nome.
Trovai la cosa un po’ strana, ma
anche simpatica, in fondo eravamo tutti ragazzi e non c’era bisogno di tante
cerimonie. (Venni a sapere la sera dopo che la ragione di questa strana
presentazione era dovuta al fatto che uno dei ragazzi aveva un principio
d’eczema nelle mani).
Il ragazzo che mi aveva
invitato si chiamava Pierluigi ma veniva chiamato Piero ed era molto simpatico.
Anche gli altri ragazzi erano
carini come aspetto, e di modi gentili, ma per me il migliore era Piero. Anche
perché aveva una buona dialettica, e per di più essendo di Roma parlava con
delle espressioni romanesche.
Sembrava di ascoltare Alberto
Sordi!
In questo locale non si
bevevano alcolici così che il tavolo era pieno di bevande tipo aranciata,
gazzosa, chinotto ecc. Non so quanto ho bevuto, perché Piero riempiva di
continuo il suo e il mio bicchiere, perché diceva che dovevamo brindare. Non volevo
bere troppo, anche perché non avevo sete, ed ad ogni cin cin mi limitavo a
sorseggiare, ma Piero disse che quando
si brinda si deve vuotare tutto il bicchiere. Quando non ce la feci più, gli
chiesi perché dovevamo fare tutti quei brindisi?
Essendo seduto di fronte a me,
si alzò, spostò bottiglie e bicchieri e si piegò verso di me; quando fu a pochi
centimetri del mio viso, disse che dovevamo brindare perché quella era una
serata speciale.
«Speciale per chi?» dissi io,
facendo un po’ la civetta.
«Per me» disse «ma spero lo
sia anche per te!».
Feci un sorriso e non dissi
niente. Continuava a guardarmi come se avesse davanti a sé l’ottava meraviglia
del mondo.
Questo fece sì che lo trovassi
sempre più simpatico.
Quando mi chiese di ballare
gli dissi di no prendendo come scusa che la pista era troppo affollata, ma era
solo perché se fosse entrato Marco difficilmente mi avrebbe vista se rimanevo
seduta, in quanto eravamo in un angolo un po’ nascosto e per di più il locale
era illuminato con luci fioche... sembravano i lampioncini cinesi.
Ogni tanto mi veniva in mente
Marco, ma questo pensiero svaniva subito: ero troppo presa da questa
situazione... mi stavo divertendo troppo.
Era la prima volta, dopo tanto
tempo, che dei ragazzi non mi annoiavamo.
Arrivò mezzanotte, l’orchestra
smise di suonare, e le persone incominciarono a lasciare il locale. Quando
furono usciti quasi tutti, ci alzammo anche noi. Questo fu per me un momento
tragico. Come mi fui alzata in piedi, credo d’aver avuto un attacco di cistite
acuta. (Una cosa mai capitata prima né mai più capitata dopo).
Era forse stata tutta quella
robaccia che avevo bevuto.
Ad ogni modo non potevo dire a
dei ragazzi appena conosciuti che dovevo andare di corsa al bagno (non l’avrei
detto neanche se fossero stati amici da una vita).
Nello stato di sofferenza in
cui ero, ho detto tutto d’un fiato: «Buonanotte buonanotte buonanotte»
e mi misi a correre verso l’uscita
e corsi per tutta la strada, per fortuna che abitavo a non più di 150 metri.
Arrivata a casa ho sofferto
per non so quanti minuti finché non sono riuscita a fare tutta la pipi, poi me
ne andai a dormire.
Non posso dire se ero felice
oppure no, di sicuro non ero triste; ero solo dispiaciuta per la figuraccia che
avevo fatto [...]
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