giovedì 6 dicembre 2018

PAGINE DI DIARIO / 31


Da “Per piacere non buttatemi via”, di Franca Santunione.


(Anno 1959, Spilamberto, fontana del Municipio: Piero (in alto a sinistra) e altri colleghi dell’A.G.I.P.)


Parte quattordicesima

[...] Ora apro una parentesi per spiegare perché quei tanti ragazzi erano arrivati a Spilamberto.
Da quasi due o tre mesi l’ENI-AGIP aveva iniziato  a fare nei dintorni del paese delle perforazioni per l’estrazione del gas.
Io non ne sapevo nulla, non avevo visto nessun viso nuovo in giro per il paese fino a quella sera.
Arrivarono a Spilamberto alla fine di maggio 1958, dopo aver fatto un corso di sei mesi a Cortemaggiore (PC): tanti ragazzi provenienti da tutte le regioni d’Italia.
Quelli che già erano a Spilamberto vennero trasferiti; non tutti però, perché un cantiere di quel genere non poteva essere messo in mano a dei ragazzi appena usciti da un corso.
Il giorno dopo  non riuscivo a togliermi Piero dalla testa, ma ero convinta che questo fosse dovuto alla sua simpatia, a quel suo modo di parlare e a ciò che mi aveva detto... e mi sorprendevo a sorridere da sola.
Quella sera, come sempre, dopo cena uscii  e trovai  le mie  amiche sedute ai giardinetti, ma non su una delle panchine dove si poteva vedere ciò che succedeva su tutta la Piazza.
Essendo queste già occupate, ripiegarono su quelle di via Obici, così che noi non potevamo vedere ciò che succedeva nella piazza, ma neppure chi si trovava a passare in questo luogo poteva vederci se non quando una decina di metri divideva gli uni dagli altri.
Questo può sembrare senza importanza, invece se così non fosse stato, oggi non sarei qui a raccontare questa mia storia, cioè la mia vita, che era cambiata la sera prima, ma che ancora non lo sapevo...
Seduta insieme alle altre c’era l’amica della sala da ballo che mi chiese subito la ragione del mio comportamento che li aveva lasciati tutti sbigottiti.
Dopo averle spiegato il motivo, mi disse che quello che si era arrabbiato di più era stato il ragazzo romano: era così arrabbiato che alla fine aveva detto:
«Spero di non vederla mai più!».
Questa frase mi fece sorridere, perché in un paese è difficile non incontrarsi; era solo questione di tempo.
Infatti… dopo una decina di minuti eccolo arrivare!
Era in compagnia con uno dei ragazzi della sera prima.
Essendo seduta sul lato destro della panchina (sulla spalliera), ero la prima ad essere vista attraverso le prime due arcate del portico che formavano l’angolo tra la Piazza e via Obici.
Piero come mi vide  si bloccò, e si girò di scatto per ritornare indietro,  l’altro ragazzo, che invece voleva venire avanti, lo tirava per un braccio, così che uno tirava di qua e l’altro di là, poi dopo un po’ Piero cedette e  vennero avanti.
In quel momento ero spaventata. Temevo che mentre erano lì arrivasse Marco, anche perché era già difficile trovare delle spiegazioni per come mi ero comportata la sera prima... figuriamoci se mi avesse visto in compagnia di altri ragazzi!
Col tempo ho capito che la mia paura non era questa:  inconsciamente non volevo che Piero sapesse dell’esistenza di Marco, ma in quel momento, presa dal timore dell’arrivo di Marco, dissi alla mia amica di dire, appena si fossero avvicinati, se volevano fare una passeggiata, e se dicevano di sì, di andare in fondo alla strada dove c’era un giardino e all’interno un cancello, e di aspettarci lì che noi li avremmo raggiunti appena sua madre (che la stava sorvegliando) si fosse distratta [...].
Avevano accettato. Veramente fu l’altro ragazzo a dire di sì; Piero si limitò a dire un semplice “buona sera”. Io non potevo incamminarmi insieme a loro perché era la strada che di solito  faceva Marco quando arrivava nel piazzale.
Appena si furono allontanati mi sono alzata, dicendo alle amiche che se fosse arrivato Marco di dire che non mi avevano vista, poi sono andata ad spettare l'amica  in una via parallela (via Savani).
Al suo arrivo abbiamo raggiunto i ragazzi che ci aspettavano vicino al cancello. Questo cancello era l’ingresso principale di una bella villa circondata da un parco. Entrammo.
Io e Piero dopo aver passeggiato per un po’, ci  sedemmo  su uno dei gradini di una scala che si trovava di fronte alla villa, e che portava a un laghetto. Nel frattempo notai  che Piero non era più quello della sera prima.
Avevo l’impressione che mi studiasse per vedere se per caso non fossi un po’ matta.
Quella sera non poteva essere più bella di così.
C’era la luna piena, e il cielo pieno di stelle, e dentro al laghetto tantissime rane che facevano una grande confusione. Tutta quella confusione fece dire a Piero:
«Abbiamo le rane che ci fanno la serenata!».
Fu l’unica frase carina che disse in quel paio d’ore che rimanemmo seduti su quegli scalini.
Mi faceva piacere vedere che non approfittava della situazione perché ero sempre convinta di provare per questo ragazzo solo della simpatia e mi piaceva sentirlo parlare.
Non poteva però fare scena muta (sarebbe stato imbarazzante), così mi parlò di Roma, della sua famiglia e della ragione che l’aveva portato a Spilamberto.
L’ascoltavo senza perdere una parola: quando ebbe finito, sentii il bisogno di parlargli di me.
Raccontai quella sera a Piero ciò che a Marco non ero riuscita a dire in tre anni. [...]
Gli raccontai che lavoravo dall’età di dodici anni, che lavoro facevo e che ero nata in una delle famiglie più povere del paese, ma soprattutto gli parlai di mio padre. Quando ebbi finito fu come se mi fossi tolta un macigno dallo stomaco.
Mi venne facile raccontare queste cose perché Piero mi ispirava molta fiducia; [...] La sensazione di parlare solo a un amico durò ancora pochi minuti.
Non avendo l’orologio gli chiesi che ora fosse? Disse  che erano le 22,30.
«Devo andare a casa» dissi «perché domattina devo alzarmi presto per andare al lavoro».
Anche Piero doveva andare al lavoro quella stessa notte alle 4, così si alzò ed allungò una mano per aiutarmi ad alzarmi.
Come mise la mia mano sulla sua, fu come se avessi toccato un filo elettrico scoperto: sentii una scossa per tutto il corpo. Avevo forse avuto un colpo di fulmine con 24 ore di ritardo? O per 24 ore avevo mentito a me stessa  nel voler credere che per quel ragazzo provavo solo della simpatia?!
Mentre andavamo verso l’uscita cercavo di fare l’indifferente, ma avrei dato l’anima per sapere cosa Piero provava per me.
Questo lo seppi quando arrivammo al cancello.
A pochi metri da questo c’era un grazioso pozzo di marmo bianco (o travertino) e ferro battuto, Piero lo vide e mi chiese se era il pozzo dei desideri. Risposi che non lo sapevo.
«Allora vediamo se lo è!» disse. Mi prese per mano e andammo vicino al pozzo, raccolse un sassolino, lo buttò dentro, aspettò qualche secondo poi mi guardò e disse: «Tu non hai niente da desiderare?».
Io: « Un desiderio l’avrei, ma non posso dirlo!».
Lui: «Non devi dirlo ma solo buttare dentro un sassolino, pensare intensamente e vedrai che si avvera!».
Così feci; poi ci spostammo verso il cancello. Lì giunti, Piero dice: «Posso sperare di vederti domani sera?».
Il pozzo aveva funzionato! [...]

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