mercoledì 31 agosto 2016

IL VECCHIO COMUNE SI RACCONTA / 2°: PRONTI, E INFREDDOLITI, AL PROPRIO DOVERE!



In quel freddo gennaio 1561 Leonardo Castagneto, agente del marchese Rangoni, era sempre presente, assieme al cancelliere Niccolò Maria Tedeschi, alle riunioni del Consiglio della “Comunità” di Spilamberto.
La sala delle riunioni, sotto il Torrione, fu affollata cinque volte in quello stesso mese. Si richiedevano decisioni importanti, come le nomine del Massaro e del Salinaro. Un problema allora discusso nell’ordine del giorno, che presenta motivo di sorpresa per noi contemporanei, riguardava la “coltivazione del riso”. Di questa coltura, di cui ora non c’è traccia, avremo occasione di parlare, come pure delle qualifiche degli “ufficiali” eletti.
È necessario rimandare la trattazione di questi fatti perché dobbiamo soddisfare l’interesse e la curiosità di quanti attendevano la seconda “Caramella” della rubrica “Il vecchio Comune si racconta”. Infatti  era stato promesso che avremmo elencato i nomi delle persone che componevano il “Consiglio”, composto da “Consiglieri” ed “Aggiunti”, ed alcuni sperano addirittura di rintracciare propri antenati.
Ecco un primo elenco delle persone, in quello scorcio di secolo XVI:
Francesco Baeso (o Baesi), Tommaso Baldocho (Baldoco), Zoanno (Giovanni) Barbetta, Bartolomeo Beletti (o Belletti), Antonio Brizzi, Baldissera Coradini (o Corradino/i), Filippo Lolio (o Lolij o Loglio), Pirino Muradori (o Muratori), Zan (Giovanni) Muradori (o Muratori), Domenico Picigano, Galeazzo Rachello, Zan (o Giovanni) Francesco Scaramuzza, Beleo Sola, Guido Thodeschi (o Tedeschi), Alberto de Zan’ (o Zanni? o “di Giovanni”).
Buona ricerca, e, sperando che qualcuno resti soddisfatto... arrivederci alla prossima puntata!


[Nell'immagine: Sconosciuti di ieri e di oggi: un ponte storico.
Ignote le sembianze dei Consiglieri dell’antico Comune di Spilamberto.
Dai nomi dei componenti il Consiglio dei secoli passati potremo individuare i discendenti?
(Disegno realizzato da Fabiano Amadessi)]


mercoledì 3 agosto 2016

SPILAMBERTESI DA RICORDARE / 5°: DON BONDI, UNA RUVIDA PRESENZA NEL BISOGNO


In canonica una processione di gente a chiedere aiuto, consolazione  o consiglio.
Tempo di benedizioni, a Pasqua: non si metteva  sulla soglia timidamente a mormorare una preghiera, entrava in tutte le stanze, guardava perfino sotto i letti e, alla “razdóra” sull’attenti, faceva notare se c’era qualche “gatto di polvere  di troppo. Lo animava certo l’autorevolezza dell’istituzione che rappresentava, ma anche la personale convinzione del proprio ruolo “didascalico” ed educativo in quella comunità poverissima e ignorante, nella quale era giunto nel 1911. 
Se una ragazza per un qualche problema urgente di famiglia, senza preoccuparsi dell’abbigliamento, si recava da lui, « Oh ragazóla! e’l al modo ed vistir qual lè? Guèrda cuma l’é scalvèda, bróta purzèla!» la redarguiva. Qualcuna si sarebbe inalberata per molto meno, proprio perché teneva alla “reputazioun”, ma da don Bondi, e solo da lui, si accettavano parole così dure come da un padre e poi, come ad un padre, si obbediva a metà.
Egli sempre vicino a chi era in difficoltà, a chi stava male, senza essere vincolato da ideologie partitiche, perché importanti erano i principi morali.
Capitava che mettesse qualche lira sotto il cuscino delle inferme povere. Ad una donna a cui era morto il fratello regalò un libro di preghiere, la Filotea. “Ve’ quast chè t’lè da lézer à to mèdra, par aiutérla in d’al so dispiasèir”. Ella fece di più, insegnò a sua madre a leggerlo da sola, quel libro. Quando dai possedimenti della parrocchia arrivava la legna per l’inverno la scaricavano nel cortile. Lui, con la sua tonaca lisa, chiamava due ragazzi, faceva caricare il carretto e diceva a chi la dovevano portare, non certo a casa sua.
Nel racconto di coloro che l’hanno conosciuto risalta la sua attenzione agli ultimi,  la sua franchezza estrema, il  coraggio e la vita integerrima,
Per uno spilambertese tra i 50 e i 100 anni, don Bondi non è un personaggio storico, è piuttosto un mitico prozio. Stava vicino ai parrocchiani come un  parente  ruvido, un po’ ficcanaso, a cui potevi chiedere in prestito il tabarro o un aiuto per traslocare; uno di quelli che sbuffano quando si commuovono e gli atti di generosità li fanno “scontrosamente”.
Questo il personaggio nei ricordi.
Il don Bondi colto,  antifascista, scomodo prete di frontiera, lo si ritrova anche nei documenti.
Quella carità che avrebbe potuto continuare ad insegnare dottamente come virtù teologale, lui l’ha praticata fra i poveri ed ha incarnato nei rapporti con i suoi parrocchiani  gli ideali di una Chiesa che si voleva rinnovare, e alla quale avrebbe potuto offrire un contributo intellettualmente importante.
Per questo lo potremmo definire un nostro eroe, un personaggio mitico di una Spilamberto sana, pulita ed intensamente coerente con i propri ideali.