La compagnia spilambertese all’inseguimento
Riassunto delle puntate precedenti.
Piccardo e il suo drappello di gran
bevitori sancesaresi a Spilamberto tentano di scroccare pranzo e bevande a “Chiacchi”
Bergonzini, quando compare l’imperatore.
L’imperatore è “Un colossal monte di
lardo… sì grande che un liofante, a paragone, / sembrava un vitellino appena
nato”.“In effetti quel era un gran campione/ premiato già nel dì di S Giovanni/
in quella fiera che, per l’occasione, teneva Spilamberto tutti gli anni.”
Il porco, con alle calcagna “tre figuri
assatanati/ che, la bocca già piena d’acquolina,
inseguono… una delizia sopraffina “, diventa la guida dell’avventura narrativa
che prende il via. La scaramuccia iniziale nell’aia assume dimensioni epiche:
“brandendo nella mano il suo forcone/ piombò nell’aia Chiacchi
scatenato/…Dietro di lui/…uscir due donne che, col mattarello,/menavano gran
colpi a perdifiato;/ dalle finestre poi piovea un flagello/ di piatti, brocche,
seggiole, pitali,/ qualcuno pien di deiezion fecali.”
Un valido aiuto a Chiacchi giunge da
Spilamberto. La storia prende un’altra direzione. Il figlio di Chiacchi aveva
intravisto il drappello di sancesaresi e li aveva creduti briganti. Informato
il padre, da lui era stato inviato a chiedere aiuto al paese. Il suo viaggio diventa
il pretesto per presentare personaggi spilambertesi: così, dopo i Bergonzini di
Chiacchi, conosciamo i Bergonzini di Paciuga, i Vecchi, i Pini, i Simonini: il
mondo di via Castellaro.
La schiera di conoscenze paesane, nominate
con i loro scutmai (soprannomi), si infittisce quando il “bravo giovinetto”
giunge nel punto “noto con il nome di Passetto” e a una “florida osteria” dove
una folla oziosa è intenta a giocare a pigugnino. “E alla notizia della
scorreria / sembrò saltare in aria l’osteria. / Ognun sembrava preso da
ossessione: / col pugno il Kid sul tavolo picchiava, /il Grosso pretendeva uno
spadone, /il Tubo forte la sua sfida urlava/ e il Duro minacciava distruzione/
mentre a finire il suo bicchier badava. / E in breve, come un fiume turbolento,
/ usciron fuori e corsero al cimento”.
Poiché si pensava a una guerra bisognava
avvertire il marchese Rangoni. Ecco chi ne viene incaricato: “…un avventore, /
che col nome di Foca era chiamato/ e di mestier faceva il dipintore”. Ma aveva “la
notte prima sbagordato” ed era appisolato su una sedia. Una volta ridestato viene
inviato a dare l’allarme.
Il gruppo parte all’inseguimento, si
infoltisce di nuova gente così che “era più battaglion che compagnia”. I due
rami della storia si uniscono quando “il branco forsennato” di spilambertesi
raggiunge quelli di S. Cesario. Di fronte a ciò il gruppo di Piccardo “nel
tempo in cui si dice «così sia»/ mise le ali ai piedi e scappò via”. E gli
spilambertesi si sentono il petto pieno di orgoglio per questa fuga.
È il momento di una pausa
narrativa dopo tanti eventi e l’autore, rivolta una invocazione alla musa,
dall’alto riassume la situazione: il porcello Imperatore guida gli inseguitori,
cioè i tre figuri; Bergonzini li tallona col forcone; segue Piccardo con la sua
marmaglia e gli spilambertesi in “bizzarra processione”. Arriva però “il più
inatteso degli sbarramenti”, ossia “di S. Cesario il muraglione”. Impedimento
per modo di dire, perché il portone “era aperto a quelle ore”.
[Citazioni da "La squilla rapita" di Lamberto da Spiniosilva, Mercatino di via Obici, CXXVII Fiera di San Giovanni, Spilamberto, 24 giugno 1997; disegno di Gustavo Cevolani dall'edizione originale]