Imprigionata in una fastidiosa nebbia, l’aria è fredda ... presagio di neve.
Usciamo dall’aula scolastica per seguire chi non c’è più. Il paese,
un tempo solcato da diversi canali e da numerose “canalette di scolo”,
le cosiddette maleodoranti “canole”, ora rivela corsi d’acqua soltanto
fuori dall’abitato. La ricerca diventa, quindi, una caccia a griglie e
bocchette; un percorso però certificato da documenti, mappe, fotografie,
oltre che dalla memoria di chi ha visto questi canali e ne ha sentito
il mormorio.
Si parte dal vecchio mulino di cui rimane l’impronta
della ruota e le macine (ubicazione: incontro tra viale Rimembranze e
via F. Roncati). C’è un’aria festaiola: è l’ultimo giorno di lezione
prima delle vacanze natalizie, ce lo dice l’allegro brusio dei ragazzi.
Il Canale Diamante costeggia la casa sede dell’antica Concia (risalente
alla fine del secolo XVI/ inizio XVII; fig. 1-2); all’incrocio con via
Pace, nelle parole e nei ricordi della guida, si rivede il ponte sul
detto canale (fig. 3)
“Camminando sopra il Diamante” raggiungiamo
una squallida e bassa costruzione (in via del Carmine), ora magazzino.
Un tempo, riparate da una tettoia, c’erano le vasche dove le donne
lavavano i panni: il lavatoio alimentato dal Diamante rinasce nelle
nostre menti e percepiamo il piacevole chiacchiericcio di chi insaponava
e risciacquava la biancheria.
Oltrepassiamo il sagrato della
chiesa del Carmine e risaliamo il canale verso S. Pellegrino,
percorrendo il vialetto pedonale che attraversa il Villaggio Resistenza.
Ci sorprende un tratto in cui, quasi miracolosamente, il Canale appare
scoperto; ci voleva, altrimenti i ragazzi potevano pensare a un
fantasma!
Dopo il supermercato Coop, è quasi da bocca aperta
l’incontro con il Canale San Pietro, a cui il Diamante si affianca,
derivando la propria acqua direttamente dal Panaro (fig. 4-5)
Ritorniamo un po’ indietro e, ormai abbiamo fatto allenamento, rivediamo
il luogo dove sorgeva l’antico “Follo della carta”, la cartiera voluta
dalla marchesa Bianca Rangoni tra la fine del Cinquecento e l’inizio del
Seicento (fig. 6).
Al ritorno seguiamo il “Canalino castellano”
che, questo sì, si dirama dal San Pietro, entra sempre sottotraccia in
Spilamberto costeggiando inizialmente via San Pellegrino (fig. 7),
successivamente via Matteotti. Un tempo le sue acque limpide erano meta
delle lavandaie che vi affondavano i panni nel caldo dell’estate e nel
gelo dell’inverno.
Ormai siamo dentro il Castello.
I ragazzi
sanno bene che a Spilamberto il Castello non è quella costruzione che
hanno visto nei film di Disney, ma l’abitato un tempo cinto dalle mura.
Seguiamo ancora il corso del Canalino all’interno di un piccolo cortile
che accende i ricordi della guida: un pozzo in cui un secchio pescava
l’acqua, la piccola vasca trasformata in lavatoio, il balconcino del
pranzo a mezzogiorno... non ci manca nemmeno l’odore sgradevole delle
“canole”, tanto vero che i ragazzi credono di percepirlo ancora.
Ecco il bar “Zucchero Filato” che ci ricorda che siamo nell’antica
Filanda, voluta da Bianca Rangoni (impiantata nel 1610), e la foto
all’interno ci avvicina alle vecchie operaie con il burbero sorvegliante
(fig. 8).
I canali ci hanno condotto alla scoperta dei tre opifici
che la “Marchesa di Spilamberto” aveva fatto costruire tra Cinquecento e
Seicento, con l’intenzione di risollevarne le esauste condizioni
economiche in cui si trovava il suo Castello.
A questo punto i
ragazzi chiedono insistentemente l’ora, non vogliono rientrare in aula
prima del termine delle lezioni... rimediamo intervenendo in loro
soccorso mostrando le vecchie mura attualmente in restauro... ma ormai
la mattinata è alla conclusione, e .... la missione compiuta!
(Fotografie da raccolta privata e Archivio Biblioteca comunale di Spilamberto)
Nell'Ottobre 2014, l'Amministrazione comunale delibera l'allontanamento dell'Archivio Storico da Spilamberto, dalla comunità che lo ha costituito nel corso di oltre cinquecento anni. L'Associazione NASCO A SPILAMBERTO (Naturalmente Archivio Storico Comunale a Spilamberto) si prefigge l'obiettivo di valorizzare il patrimonio documentario della comunità e di ottenere in tempi brevi un suo ritorno in paese.
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