Le storie del “doppio”:
“Lo strano caso del dottor
Jekyll e del signor Hyde”,
raccontato da Giulia Lorenzoni
(prima parte).
(Disegno di Fabiano Amadessi)
A Berto quel giorno prudeva
un orecchio. Continuava a grattarsi fuori e dentro come non capisse bene da che
parte arrivava il solletico. I bambini lo guardavano senza sapere se ridere o
rimanere seri fino a quando un temerario disse:
«Ma Berto! Hai i peli sulle orecchie!».
A quel punto tutti si
sentirono autorizzati a far smorfie di divertito disgusto. Berto cominciò
allora ad accarezzarsi il lobo, come tranquillizzato dalla natura di quel
fastidio.
«Be’» disse, facendo ciondolare la testa «del
resto discendiamo dalle scimmie che sono piene di peli». Fece una risata e
prese a fissare nel vuoto cercando nella memoria. «Sapete, un tempo facevo il
giardiniere per un famoso dottore, una persona per bene, tanto stimata da
tutti, molto gentile. Si chiamava Jekyll e aveva una casa con un giardino, dove
lavoravo io, e un laboratorio. A tutti noi domestici era vietato entrare nello
studio dello scienziato finché un giorno venimmo informati che un collega del
dottor Jekyll, il signor Hyde, avrebbe avuto libero accesso all’intera
abitazione, compreso il laboratorio segreto. Una mattina, ci vennero a dire che
la notte precedente una bambina era stata trovata nel vicolo picchiata a morte con
straordinaria violenza. Il dottor Jekyll si mise le mani al volto, e uscì dalla
stanza. Era un uomo molto, molto sensibile».
I bambini ora ascoltavano
Berto senza più pensare ai peli.
«Da quel giorno in poi, il
dottor Jekyll cominciò a passare sempre più tempo nel laboratorio, tanto che
alle volte non lo vedevamo rientrare nemmeno la sera. Si notava solo una luce che rimaneva accesa nel buio dell’edificio.
Ero molto preoccupato per il dottore tanto che una notte mi avvicinai alla
finestra. Vidi una figura più piccola e curva di Jekyll che si aggirava da un
tavolo all’altro trascinando i piedi come se le gambe fossero rigide. Si
sentiva un sibilo strano come di qualcuno che fatica a respirare. Sentii un
brivido lungo la schiena e me ne andai. Che quella figura fosse il misterioso signor
Hyde? ». Berto ricominciò a grattarsi l’orecchio.
«Il giorno dopo, mentre
portavo rami secchi nella spazzatura dietro casa, trovai un cane sgozzato sul
marciapiedi».
«Ma chi lo aveva ucciso? »,
interruppe un bambino.
«In realtà non lo scoprimmo
mai, ma vi posso assicurare che non era certo stato un uomo perché sul collo
dell’animale c’erano i segni evidenti di denti aguzzi come quelli di una
belva».
I bambini stavano in
silenzio e i peli di Berto sembravano luccicare al sole.
«Seppellimmo il cane in
giardino, davanti allo sguardo addolorato del dottore. Per una settimana la
porta del laboratorio rimase sempre chiusa, poi un giorno, mentre innaffiavo le
rose, il dottore si avvicinò. Il suo sguardo era magro e la sua voce un
sussurro faticoso. Mi chiese se avessi mai provato tanta rabbia da voler
uccidere qualcuno. E se avessi potuto farlo impunemente, lo avrei mai fatto?».
Berto si spulciò i peli
dell’orecchio e rimase in silenzio per qualche secondo prima di ricominciare a
raccontare.
«Mi disse, “vedi Berto, la
rabbia è come la marea: prima o poi sale. E contro l’acqua non si può nulla”, e
se ne andò sospirando».
Lo sguardo dei bambini si
fece basso.
«Una notte, all’improvviso
[...]
Arrivederci alla prossima settimana per la seconda parte.
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