Da “Per piacere non
buttatemi via”, di Franca Santunione.
(Anno 1959 – Franca Santunione con la mamma Giovanna
Gagliardelli –
sullo sfondo i vecchi giardinetti del Piazzale davanti alla
Rocca di Spilamberto.)
Parte dodicesima
[...] Ho incominciato a fare i conti con la realtà quando mi sono
innamorata la prima volta.
Questo accadde nel 1955. Io avevo
19 anni e lui 22. Credo che fosse aprile o maggio… comunque era primavera.
La prima volta che lo vidi era
seduto insieme ad altri tre ragazzi sul muretto del giardino della vecchia
scuola elementare. Si trovavano lì perché avevano un appuntamento con delle mie
amiche [...] venni presentata [...] dopo un po’ li salutai per andarmene via.
Il ragazzo che più mi aveva colpita, mi disse: «Perché te ne vai?».
Risposi che andavo al cinema
perché era in programma un film che m’interessava vedere.
«Il film puoi vederlo anche un
altro giorno. Per questa sera rimani con noi!».
In quel momento un altro ragazzo
disse:
«Perché non andiamo a Vignola a
prendere un caffè?».
[...] tutti furono d’accordo.
Il ragazzo che mi aveva chiesto di
restare si chiamava Marco. Ero ancora indecisa su cosa fare quando Marco mi
prese la mano e mi portò verso due auto
parcheggiate poco distante. Marco aprì lo sportello di una di queste e mi
invitò a salire ed a sedere nei posti
dietro; lui fece il giro dell’auto e si
sedette al mio fianco, uno degli altri ragazzi salì al posto di guida . (Più tardi venni a sapere
che la macchina era di Marco). [...] eravamo a metà strada quando
improvvisamente Marco mi baciò. Rimasi sorpresa e sconcertata. Cercai di
respingerlo, ma senza fare della confusione perché non volevo che gli altri
capissero cosa stava succedendo visto che avevo capito, da come mi avevano
parlato poco prima, che alla mia amica seduta sul sedile davanti piaceva
Marco. [...]
Mi piace pensare che a portare
Marco sulla mia strada sia stato il mio Angelo Custode. Credo che abbia voluto
parcheggiarmi in questa storia mentre mi stava cercando per tutta l’Italia
l’uomo che avevo sempre sognato. Potevo, è vero, aspettarlo senza frequentare
nessun ragazzo, ma c’era anche il rischio che andassi ad infilarmi in una
storia dove non era più possibile uscirne.
Perché dico questo?
Perché la mia storia con Marco non
poteva avere nessun futuro.
Questo non potevo saperlo; almeno
all’inizio, perciò fu una storia d’amore com’è naturale che sia tra due ragazzi
... una storia con le sue gioie, ma anche una storia sofferta.
Questo fu il mio primo colpo di fulmine.
Marco era un bel ragazzo,
simpatico, di modi signorili e tanta voglia di divertirsi. D’altra parte non
poteva che essere così. Apparteneva anche a quel ceto sociale che ho descritto
con la puzza sotto il naso. Questo però non gli impediva di essere socievole
con tutti. In poche parole, non si dava delle arie. (Devo confessare che quelli
con la puzza sotto il naso non mi erano più tanto antipatici.)
Tutto andò bene per circa un anno
e mezzo, poi il mio stato d’animo cambiò... incominciarono le sofferenze. Venni
a sapere che nelle sere che non ci vedevamo caricava i suoi amici in macchina
(era uno dei pochi che in quegli anni l’aveva) e andavano a fare i bulletti per
i vari paesi dell’Emilia. A Marco piaceva molto ballare [...]. Questo mi faceva
stare male, ma non gli ho mai detto che ne ero a conoscenza. Questa sofferenza
mi aiutò a prendere coscienza della mia storia con Marco. Tutte le volte che ci
pensavo molto seriamente finivo col dirmi che non aveva nessun futuro. Questo
per due ragioni (ne sarebbe bastata anche una sola).
Una di queste era la sua famiglia.
[...] Sapevo che il padre era dottore e aveva una sua attività (aveva una
farmacia). Avevano anche la donna di servizio.
Basta questo a far capire come
fossimo distanti come ambiente famigliare. Questo in quegli anni aveva ancora
molta importanza. Poi c’era la mia famiglia; soprattutto mio padre che col
passare degli anni era peggiorato: ora bastava poco per essere ubriaco e sempre
più litigioso fuori e dentro casa. Poi c’ero io senz’arte né parte, e
naturalmente sempre povera, così mi attaccavo all’orgoglio dicendomi che in un
ambiente tanto diverso dal mio mi sarei sempre sentita una povera cenerentola.
Temevo molto che i suoi genitori, come moglie del figlio, mi
avrebbero accettato con pochissimo entusiasmo, così che lottavo disperatamente
con la ragione e il sentimento. Finiva sempre per vincere quest’ultimo.
Mi viene in mente quella frase che
dice: “Il cuore ha delle ragioni che la ragione non conosce”.
Difatti ne sono uscita solo quando
il Signore, o chi per esso, mi è venuto in aiuto.
Oh, non è che non ci provassi, mi
facevo tutti i miei bravi ragionamenti; preparavo ciò che dovevo dirgli, ma poi
quando era lì davanti a me diventavo completamente smemorata. [...] sapevo che
dovevo arrivare a chiudere questa storia.
Anche mia madre aveva capito che
qualcosa mi tormentava: aveva capito anche da cosa dipendeva perché una sera mi
chiese se Marco era il ragazzo che sognavo da ragazzina. Ci pensai un attimo,
poi risposi di no. Allora disse: «A parte il fatto che quel ragazzo solo un
miracolo poteva fartelo incontrare!... ma se pensi che Marco non sia la persona
giusta per te, lascialo, prima che sia troppo tardi!». Non mi chiese la ragione
di questo mio pensiero, e ne fui contenta. Come avrei potuto dirle che solo
l’idea di conoscere i suoi genitori mi spaventava e che lo era ancora di più il
pensiero che un giorno avrei dovuto
presentargli mio padre. Era tanta la vergogna che non avevo mai parlato a Marco
di mio padre.
La mia famiglia l’avevo tenuta
fuori dalla nostra storia. Conosceva mia madre solo perché a volte si erano
incontrati per caso, e tra di loro c’era un semplice saluto di circostanza. Con
mio padre avevo fatto in modo che non s’incontrassero mai. Questo non fu
difficile perché niente in quelle ore lo faceva uscire dal suo regno, cioè
l’osteria, ma per maggior sicurezza, se il tempo lo permetteva, l’aspettavo nel
piazzale, e lì ci salutavamo quando se ne andava.
Diedi retta a mia madre.
Incominciai ad uscire con le amiche quando Marco non veniva. Si andava a
passeggiare o al cinema e a volte anche a ballare: questo nella speranza di
conoscere un ragazzo che mi piacesse almeno un po’. Niente da fare! Non ce ne
era uno che andasse bene. Se poi qualcuno insisteva nel corteggiarmi finiva
solo per infastidirmi: credevo che non ce l’avrei mai fatta a togliermelo dalla
testa e dal cuore. Invece, questa storia finì... No, non era finita la storia perché
questa si trascinò per un po’ di tempo; era finito solo il sentimento che
provavo per Marco, e strano a dirsi, improvvisamente com’era cominciato finì e
cosa ancora più strana, nello stesso posto! [...]
Questo fatto accadde la prima
domenica di giugno del 1958. Quella fu una giornata strana ... Come tutte le
domeniche, io e mia madre ci dividevamo i lavori di casa che durante la
settimana non eravamo riuscite a fare in quanto lavoravamo entrambe. Tutto andò
bene fin verso le dieci, poi incominciai a sentirmi strana; non riuscivo a
combinare niente, così che mia madre mi chiese se stavo male? Dissi di no, ma
non riuscivo a capire perché fossi tanto agitata![...]
Quella sera avevo, alle 21, un
appuntamento con Marco, ma alle venti mi prese una gran voglia d’uscire di
casa; questa non era una novità, perché di solito l’aspettavo nel piazzale, ma
quella sera sentivo il bisogno di muovermi e stare da sola, nella speranza che
questo mi calmasse un po’. Resistetti fin verso le 20,30, poi dissi a mia
madre: «Io esco, e se dovesse venire a cercarmi Marco, digli che sono uscita e non sai dove sono andata,
ma che sarò nel piazzale alle nove, o giù di lì».
Mia madre, che in quel momento
stava leggendo, alzò la testa, mi guardò da sopra gli occhiali e con una esclamazione
disse: «Cosa?... No, no no! Io non voglio assolutamente sapere niente delle tue
stupidaggini!!! inoltre io ora esco, e
vado a trovare la mia amica Bruna».
(Veramente mia madre non disse
stupidaggini, ma in dialetto usò un termine più colorito).
Senza perdere tempo, si preparò e se ne andò. Io tentennai un po’, poi uscii.
Nel piazzale trovai le solite
amiche; mi fermai giusto il tempo per salutarle, poi me ne andai. Camminando
feci tutto il perimetro della parte vecchia del paese, finché mi ritrovai
dietro la vecchia scuola elementare col famoso muretto dov’era seduto Marco la
prima volta che l’ho visto.
Dall’altra parte della strada,
proprio di fronte, c’era la sala da ballo (quella bruttina).
Sentendo l’orchestra suonare, mi
prese una gran voglia d’entrare, ma avevo un problema, non avevo con me neanche
una lira... Mentre pensavo come potevo fare, vidi un ragazzo che lavorava nella mia stessa
ditta, così gli sono andata a chiedere se mi prestava qualche soldo per
entrare. Me li prestò ed entrai. Mentre
facevo questo pensavo di rimanere dentro solo pochi minuti per poi andare all’appuntamento
con Marco. Benché avessero aperto da pochi minuti, il locale era già molto
affollato. Appena entrai vidi una mia amica vicina alla pista da ballo; le
andai vicino, la salutai, lei mi guardò e mi dice: «Beh! cosa fai qui?».
«Non lo so», risposi. (Non mi
andava di dare delle spiegazioni).
Le chiesi come mai era lì. Rispose
che era arrivata da pochi minuti e che non c’erano più tavoli liberi e che
stava lì nella speranza di vedere se qualche amica stava ballando, sperando che avesse un tavolino per
ospitarla. Finì un ballo, ne finì un altro, ma di amiche non se ne vedeva una.
Su un lato della pista c’erano
degli alberi e sotto a questi i tavolini. La mia amica si attaccò a un grosso
ramo e si sollevò un po’, per vedere se qualche amica fosse
seduta da qualche parte, quando mi disse: «Vedo seduti a un tavolino là
in fondo dei ragazzi che conosco! Andiamo a sentire se ci ospitano!».
Le chiesi se erano ragazzi del paese e lei mi disse di
no: disse che li aveva conosciuti un paio di giorni prima nel bar di sua zia
[...]. Le chiesi cos’erano venuti a fare a Spilamberto, «Per cercare il
petrolio» rispose. La cosa mi sembrò molto strana. Comunque le dissi: «Se vuoi
andare, vacci, io non vengo perché mi vergogno». [...] Senza pensarci due volte
lei andò da quei ragazzi che furono
contenti di ospitarla, anzi, le chiesero se aveva altre amiche. Disse che c’ero
io, ma che non ero andata insieme a lei perché mi vergognavo. Nel frattempo ero
rimasta vicino alla pista sperando di vedere almeno un’amica per salutarla e
per poi uscire.
Proprio in quel momento sentii
dietro di me una voce maschile che diceva: «Signorina buona sera».
Mi girai
e mi trovai davanti un bel ragazzo. [...]
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