Nell'Ottobre 2014, l'Amministrazione comunale delibera l'allontanamento dell'Archivio Storico da Spilamberto, dalla comunità che lo ha costituito nel corso di oltre cinquecento anni. L'Associazione NASCO A SPILAMBERTO (Naturalmente Archivio Storico Comunale a Spilamberto) si prefigge l'obiettivo di valorizzare il patrimonio documentario della comunità e di ottenere in tempi brevi un suo ritorno in paese.
venerdì 27 febbraio 2015
CARAMELLE DELL'ARCHIVIO / 11: IL PORTICATO DEL BERNINI A SPILAMBERTO?
Recentemente ha fatto scalpore l’iniziativa del Papa di aprire docce e una barberia, sotto il porticato del Bernini, per i senzatetto; è stato fornito loro anche un pasto.
È l’abbraccio di Piazza San Pietro che si allarga per soccorrere chi è povero e bisognoso.
Qualcosa di simile succedeva a Spilamberto nella seconda metà dell’Ottocento e agli inizi del Novecento, anche se con modalità diverse.
Accadeva solitamente quando la rilevante crisi economica veniva accompagnata da inverni particolarmente rigidi e la fame bussava alle porte di molte famiglie.
Cosa succedeva a Spilamberto?
L’Amministrazione comunale, in collaborazione con associazioni caritatevoli, organizzava la “Cucina economica” e lo “Scaldatoio”.
Tali soccorsi venivano collocati in un ambiente sottostante il Teatro comunale e adiacente al Torrione medievale. Era lo spazio solitamente destinato alle “Guardie campestri” e a luogo di deposito delle pompe antincendio.
La prima volta in cui vennero prese queste iniziative fu nel lontano 1869.
Altro esempio significativo si ebbe nel 1887. In questa occasione, il Sindaco risolse di scrivere al Ministro dell’interno a Roma per chiedere aiuto:
“L’imperversare della crisi economica che colla mancanza di lavoro rende addirittura desolante la condizione dei numerosissimi nostri poveri nell’ora incominciata rigida stagione, rende necessario che anche quest’anno – come si ebbe a fare altre volte – si aprono lo Scaldatoio e le Cucine economiche gratuite [...] ma i mezzi del comitato apposito essendo troppo esigui [...] si invoca e si spera in un generoso per quanto modesto sussidio del Regio governo”.
E da Roma giunse un aiuto nella misura di lire 100.
Quindi, quell’inverno, nei mesi di gennaio e febbraio, vennero distribuite, tre volte la settimana, una media di duecento minestre al giorno, cercando di “alleviare e lenire i bisogni e i dolori di tanti miserabili”, come diceva il Sindaco nella sua lettera.
E le docce del Porticato del Bernini? Chi provvedeva?
A quell’epoca questa esigenza era molto lontana dai pensieri della popolazione, che viveva giornalmente in un Castello in cui l’igiene, come in tantissimi altri luoghi, non era certamente fra le prime necessità, e la costante urgenza quotidiana era, per molti, soddisfare la fame.
CARAMELLE DALL'ARCHIVIO / 10: GIOCHI DI NEVE
La neve, da un po’ di giorni, la fa da padrona nel nostro paese. L’inverno ha veramente interpretato se stesso.
Il disagio che provoca agli adulti è, invece, gioia per i bambini.
Nel passato le vie del paese erano proprietà dei pedoni e con la neve ci si divertiva. Si scivolava ripetutamente dagli alti cumuli con emozione e fatica (quanta ne veniva allora!). Ogni angolo, ogni spazio in cui si ammassava la bianca coltre erano motivo di gioco.
Ricordiamo: decenni fa era possibile accedere a quel fossato che per tanti secoli ha circondato il Castello e la Rocca, il cui ultimo tratto, rimasto fino a tempi recenti, ghiacciava d’inverno. Era là, dietro l’ultima restante Torretta di guardia, ai piedi della “Montagnina”. Per i ragazzi degli anni Cinquanta, era la pista ideale per pattinare. Purtroppo, c’è chi ancora ricorda, con triste emozione, i vigili accorsi per recuperare il corpo senza vita di uno di loro, uno di quei giovani che si erano ritrovati per scivolare allegramente sulla superficie ghiacciata. E la memoria ha impresso tristi colori: la divisa dei pompieri e il bianco del telo che, ricoprendo il ragazzo, profanava la neve.
«Mai più!» i genitori dicevano «mai più su quel ghiaccio!»
La successiva copertura del fossato ha allontanato il pericolo e, per molti, anche il ricordo di quella sciagura, di cui gli stretti legami paesani resero tutti partecipi.
Oggi, se anche la fossa non rimane, resta del passato l’antico Piazzale della Rocca. Lì, un alto cumulo di neve sembra invitare al gioco, a lunghe scivolate. Ma il Piazzale resta silenzioso, mancano le grida festose di bambini e ragazzi, che un tempo avrebbero colorato vivacemente la gelida atmosfera invernale.
lunedì 16 febbraio 2015
SPILAMBERTO, UNO STRAPPO NELLA MEMORIA: PRESENTAZIONE
1561: introduzione al “Primo Libro dei Partiti comunali” (i verbali del Consiglio),
la vera memoria storica della Comunità di Spilamberto.
Documento manoscritto conservato nell’Archivio Storico Comunale di Spilamberto
Prossimamente arricchiremo la nostra pagina con una nuova rubrica, dal titolo “SPILAMBERTO: UNO STRAPPO NELLA MEMORIA”.
In essa tratteremo dell’Archivio storico comunale di Spilamberto e dell’obiettivo che stiamo perseguendo, cioè quello di farlo ritornare nel nostro paese, visto che sta per essere trasferito a Vignola.
Da una parte l’Archivio rappresenta la nostra memoria e la nostra identità, che, radicandosi nella storia dal 1210, ha lasciato tracce scritte nel nostro paese dal ‘400. Queste testimonianze sono, appunto, raccolte nell’Archivio stesso.
Ci permetteremo, così, di intervenire sulla memoria in generale, come era concepita nell’antichità, in particolare a Roma e in Grecia. Collegati alla memoria sono l’oblio, la dimenticanza, ed anche di essi parleremo.
Relativamente al trasferimento dell'Archivio ci esprimeremo ricordando i “ritorni” nella letteratura e nel mito.
Il principale protagonista a cui ci riferiremo sarà Ulisse, che ci sembra una perfetta metafora del “Nostro Archivio”, con il suo lungo viaggio di ritorno durato 10 anni, proprio il tempo previsto dall’accordo con la Fondazione di Vignola.
Il felice esito del ritorno di Ulisse speriamo sia benaugurante per l’Odissea del nostro ricchissimo, ma, purtroppo, poco conosciuto Archivio storico comunale.
domenica 15 febbraio 2015
CARAMELLE DALL'ARCHIVIO / 9: ROCCA DELLE MIE BRAME...
Prima puntata
Sarà per il suo aspetto goffo, asimmetrico, determinato dall’aggiunta su di un lato degli alloggi della servitù, sarà per la sua collocazione, ma la Rocca è sempre stata la cenerentola del paese, sovrastata dal potere magnetico e prevaricatore del Torrione.
La preponderante esibizione di questa antica torre si rileva anche da tutte le rappresentazioni del Castello di Spilamberto: la Rocca, importante fortificazione della zona di confine tra il territorio papale e quello imperiale, non compare quasi mai.
“Sensibili al suo grido di dolore”
abbiamo pensato di dedicarle la nostra attenzione per ridarle quello spolvero che le spetta.
La sua, è, decisamente, una storia a puntate per quanto riguarda sia la struttura sia le specifiche funzioni.
La sua configurazione venne preceduta da un’unica torre, utile per l’avvistamento dei nemici e per la difesa... gli avversari, al di là del Panaro, erano vicini, l’allerta doveva essere continua!
Siamo poi nel ‘300, quando la Rocca, dopo aver inglobato la torre di difesa, iniziò la sua trasformazione. Dapprima usata come costruzione-fortezza, cominciò a modificare la sua immagine e la sua utilizzazione. Furono i Signori Rangoni, ufficialmente investiti del Castello di Spilamberto e del suo territorio, che diedero avvio al suo mutamento.
Nel tempo venne progressivamente dotata di due ponti levatoi con rispettivi “rastelli”, le porte. Un ponte rivolto verso il Panaro e l’altro verso l’interno del Castello, entrambi in asse con la Porta principale sottostante il vanitoso Torrione, che primeggiava sulle più piccole torri, le “torricelle” o “torresini”, costruite ai quattro angoli delle mura.
...e dopo questo cambiamento? ... cosa succederà? ... a risentirci alla prossima puntata!
mercoledì 4 febbraio 2015
CARAMELLE DALL'ARCHIVIO / 8: SPILAMBERTO 1600: FOLLIE DI CARNEVALE
Si dice “A carnevale ogni scherzo vale”.
Non era così al tempo di Bianca Rangoni. La Marchesa di Spilamberto infatti decise di porre serie limitazioni ai festeggiamenti carnevaleschi.
In quell’epoca le infrazioni, i disordini, il caos dovevano essere rilevanti per far gridare nuove disposizioni al “Nunzio Pubblico”, vicino alla “Colonna rossa”, proprio là dove le strade principali del Castello si incrociavano... oggi “le quattro arie”, dove serenamente gli spilambertesi si fermano a chiacchierare.
Cosa sarebbe cambiato?
Era il 1616 e le feste avrebbero potuto essere organizzate soltanto dietro richiesta ufficiale degli interessati. Come dire “Se ci saranno disordini i colpevoli siete voi”!
Dall’anno successivo la “Signora” permise di mascherarsi soltanto con abiti poco vistosi, esclusivamente durante il giorno ed entro le mura castellane.
Ma ecco individuate altre infrazioni, che evidentemente erano abituali e vi si pose freno: essere armati, travestirsi da religiosi, festeggiare sui sagrati delle chiese, esprimersi con parole irriverenti, infastidire ed offendere persone e, vista la stagione invernale, “gettarsi neve l’un l’altro”.
Ciò non significa che Bianca fosse contraria ai festeggiamenti, infatti, visto che i partecipanti erano soprattutto giovani, ai quali spettava giustamente divertirsi, ella precisò che “gli spassi dovevano pigliarsi sì, ma ... modestamente!”.
Questo esigeva che si realizzasse nel Castello da lei governato.
All’epoca, troviamo simili restrizioni anche in altre gride (in questo modo erano chiamati i decreti perché gridati in pubblico) del Marchesato di Vignola e del duca d’Este a Modena.
Possiamo così supporre che, fatte le giuste proporzioni, i festeggiamenti di allora rasentassero la trasgressività, un po’ come certi raduni dei ragazzi di oggi.
L’esuberanza giovanile non ha tempo!
Non era così al tempo di Bianca Rangoni. La Marchesa di Spilamberto infatti decise di porre serie limitazioni ai festeggiamenti carnevaleschi.
In quell’epoca le infrazioni, i disordini, il caos dovevano essere rilevanti per far gridare nuove disposizioni al “Nunzio Pubblico”, vicino alla “Colonna rossa”, proprio là dove le strade principali del Castello si incrociavano... oggi “le quattro arie”, dove serenamente gli spilambertesi si fermano a chiacchierare.
Cosa sarebbe cambiato?
Era il 1616 e le feste avrebbero potuto essere organizzate soltanto dietro richiesta ufficiale degli interessati. Come dire “Se ci saranno disordini i colpevoli siete voi”!
Dall’anno successivo la “Signora” permise di mascherarsi soltanto con abiti poco vistosi, esclusivamente durante il giorno ed entro le mura castellane.
Ma ecco individuate altre infrazioni, che evidentemente erano abituali e vi si pose freno: essere armati, travestirsi da religiosi, festeggiare sui sagrati delle chiese, esprimersi con parole irriverenti, infastidire ed offendere persone e, vista la stagione invernale, “gettarsi neve l’un l’altro”.
Ciò non significa che Bianca fosse contraria ai festeggiamenti, infatti, visto che i partecipanti erano soprattutto giovani, ai quali spettava giustamente divertirsi, ella precisò che “gli spassi dovevano pigliarsi sì, ma ... modestamente!”.
Questo esigeva che si realizzasse nel Castello da lei governato.
All’epoca, troviamo simili restrizioni anche in altre gride (in questo modo erano chiamati i decreti perché gridati in pubblico) del Marchesato di Vignola e del duca d’Este a Modena.
Possiamo così supporre che, fatte le giuste proporzioni, i festeggiamenti di allora rasentassero la trasgressività, un po’ come certi raduni dei ragazzi di oggi.
L’esuberanza giovanile non ha tempo!
venerdì 30 gennaio 2015
NOTIZIE DALL'ARCHIVIO / 8: CLASSE I MEDIA: GIORNO DI VISITE PER MESSER FILIPPO
La porta del Torrione non si vuole aprire, insensibile all’impaziente attesa della torma di ragazzi immersi nel caos del mercato settimanale. Il sole ci ha regalato una gradevole passeggiata in questo strano inverno. Andiamo a vedere la cella di Messer Filippo. In aula, prima di partire, anche la lavagna luminosa non si voleva accendere. Bisognava proiettare la figura del nostro beneamato fantasma, occorreva presentarlo, ambientarlo nel propria epoca...questi contrattempi posti alla nostra attività non sembravano di buon auspicio. Ma la sua cella, lassù, ci aspettava. Lungo la scala, dopo che la porta, cedendo alle nostre insistenze, si era aperta, le voci dei ragazzi iniziano a penetrare la chiusa atmosfera delle ripide e strette scale. Sul primo pianerottolo il monumentale chiavistello ci schiude ad altre scale, ad altri ambienti e, finalmente, ecco la Sua angusta prigione, innaturale ad accogliere un essere umano. “Sono Fermano”, ha scritto sulla parete, perciò di Fermo nella regione Marche... e la leggenda dell’affascinante spagnolo venuto dal mare comincia a sfaldarsi: è marchigiano! Poi si parla di intrighi, ragioni politiche, nobili famiglie in contrasto, in lotta nel Centro Italia; le paure del Papa, gli Estensi, i Rangoni: la narrazione dei fatti storici abbatte del tutto la costruzione fantastica che avvolge la figura del nostro caro Filippo, ma noi troveremo il modo di richiamarla, la leggenda. La natura umana ha bisogno del fascino della fantasia per essere riscaldata! Davanti alla cella e ai pannelli che riportano i disegni di Filippo sta a noi proporre domande ai ragazzi. « Quali elementi hanno contribuito a far nascere la leggenda? Come si può vivere in una cella così ristretta?... » I ragazzi si scatenano in ipotesi e ci sorprendono con le loro intuizioni; ma, come al solito, rispondono anche con porre altre domande. E la discussione continua. Inaspettatamente ci raggiunge “la Paolina”: ci informa che un’esperta ha provato ad intervenire sui disegni con una speciale sostanza e, questa è la piacevole sorpresa, se ne potrebbero recuperare anche un 50 % dall’attuale situazione. Infatti una cattiva manutenzione, o l’abbandono, dopo la loro scoperta nel 1947, li ha nascosti o cancellati. Poi, Paolina sollecita gli alunni alla responsabilità di tutelare i beni culturali, all’importanza di evitare scritte o graffiti; ai giovani, infatti, spetterà la loro custodia, la preservazione, per affidarli alle generazioni future. Ormai occorre tornare a scuola, la campanella presto suonerà. Si parte e “Messer Filippo rimane”. Al nostro mitico prigioniero resterà certo la tenue gioia di questa vociante invasione, della entusiasta curiosità, e di questa improvvisa vitalità che ha un po’ riscaldato le vecchie fredde mura!
sabato 24 gennaio 2015
CARAMELLE DALL'ARCHIVIO / 7: UNA TERRIBILE CORDA SUL TORRIONE!
L’antica “Torre
granda”, l’attuale Torrione (prospetto nord).
Nel lontano passato, salendo le scale avremmo
trovato... ?
Waterboarding e alimentazione rettale, in pratica torture, erano alcune delle tecniche di interrogatorio usate dalla CIA per costringere i terroristi a rivelare informazioni o a confessare.
Le rivelazioni su questo fatto hanno sollevato grande scalpore e in genere condanna. Infatti, a partire dalla fine del ‘700, l’evoluzione civile e culturale ha portato all’abolizione di questi lesivi metodi coercitivi. Riferendosi a questo argomento, il giornalista e scrittore Corrado Augias afferma che, se venisse annunciata l’esecuzione di una pena capitale in una piazza, una moltitudine di persone accorrerebbe con telefonini e tablet.
Nel ‘600 invece torture e uccisioni erano pratiche normalmente previste e attiravano molto pubblico. Nemmeno il territorio di Spilamberto si differenziava. Nutrite testimonianze provengono dal periodo in cui la marchesa Bianca Rangoni governava questo feudo. Per chi trasgrediva le regole contenute nelle sue gride, le punizioni erano già preordinate. La tortura più usata era quella dei “tratti di corda”: i polsi del condannato erano legati dietro la schiena e sollevati per mezzo di una “girella”, generalmente per tre volte, intervallate dall’allentamento della corda stessa. Le braccia risultavano slogate irrimediabilmente!
Altra pratica era lo squartamento del condannato. Non c’erano tablet né telefonini, ma ciascuna delle quattro parti in cui era diviso il corpo del giustiziato era esposta in pubblico come ammonizione.
La Marchesa poteva infliggere tali punizioni in virtù del feudale “potere di banno” attribuito ad ogni “Signore”.
Un documento, presente nell’Archivio Storico Comunale di Spilamberto, ci informa che strumenti per eseguire le condanne erano conservati nella “Torre granda” (il Torrione) che fungeva anche da prigione.
Parte del testo originale datato 1606, in cui compare l’inventario dei beni del Comune di Spilamberto, elenca quanto segue:
“[…] Et poi un ceppo di legno con li suoi arnesi per mettere alli piedi
delli prigioni et con un altro ceppo per taliar la testa.
Et poi una fune grossa per dar la corda in pubblico con il
suo legno et cirella […]”.
Alla fine di ogni grida emessa da Bianca Rangoni si trovava scritto
“che ogn’un si guardi”,
ammonimento a non trasgredire quanto veniva imposto ai suoi sudditi!
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