Il
Canale San Pietro che scorre dietro all’ex mulino Rangoni. Dalle sue acque
traeva origine il “Canalino castellano”, utile alla lavorazione del “filo da
seta” all’interno dell’opificio impiantato dalla marchesa Bianca.
(Foto: raccolta privata)
«Questi incontri servono a farci
conoscere il paese», la ragazza con il velo è la prima a rispondere. «Ci
vengono dette tante informazioni su Spilamberto, a casa ne parliamo con i
genitori, le approfondiamo, poi le trasmetteremo ai nostri figli» dice un altro
«è un modo interessante per alternare le lezioni frontali con uscite nel paese ».
Sono alcune considerazioni dei
ragazzi sull’utilità dei nostri incontri e il loro giudizio è decisamente
positivo su questa esperienza.
Oggi si parla di opifici, le
attività industriali che Bianca Rangoni riattiva o impianta per la prima volta
agli inizi del ‘600, avviando la proto industrializzazione di Spilamberto.
Questo argomento ci porta alla
vertigine storica; un continuo andirivieni nel tempo tra ieri e oggi: il
papiro, la carta, la corteccia vegetale e gli stracci. È così che parlando del “Follo
della carta” si parte dalla raccolta differenziata di oggi, mentre un’idea
della tecnologia di un tempo ce la danno le immagini dell’Enciclopedie di
Diderot e d’Alambert di fine ‘700. Per di più il termine “folloni”, i martelli
che pestavano gli stracci per ridurli in poltiglia utilizzabile, corrisponde ad
un cognome di oggi.
È la vertigine della storia che
ci pervade e ci rimanda ad un paese ricco d’acqua, acqua che ancora c’è e,
anche se oggi camminiamo sopra di essa, un tempo muoveva i meccanismi della
Cartiera, serviva la Filanda e la Concia delle pelli.
La foto di un tempo ci riporta il
“Canalino castellano” scoperto, e si affacciano verso di noi i visi in posa di
donne della metà del ‘900 che sciacquano i panni. E c’è pure la foto del ponte
sul Canale Diamante che lambiva la “Concia”, controllato severamente sullo
sfondo da un Torrione con la copertura di un tetto che denuncia la datazione: la II Guerra
mondiale non era ancora scoppiata.
Un ragazzo svela subito dove si
trova la foto che ritrae donne al lavoro nella Filanda, sotto gli occhi di un
burbero padrone. Lo “Zucchero filato”, il nome del bar, richiama suggestivamente
l’uso a cui era adibito il locale. Il mutamento che ha apportato la storia è
richiamato da una piacevole traccia visiva.
Bianca ha riattivato anche la “Concia
delle pelli”. Ci si sofferma tra l’altro, oltre che sulla tecnica di lavoro,
anche sulle terribili condizioni igieniche a contatto con le vasche, la puzza,
il salnitro e le “Gride”, che di quest’ultimo proibivano la vendita al di fuori
del “Castello” e della sua “Giurisdizione”.
Una ragazza ci informa che vasche
simili per la lavorazione delle pelli le ha viste in Marocco. Immediatamente
una diapositiva, nella lavagna interattiva, conferma ed illustra il suo
commento.
«È sufficiente consultare i
documenti e studiarli per ricostruire la storia? ».
Rivolgiamo la domanda ai
ragazzi sul finire dell’incontro.
«Occorre anche immaginazione,
creare ipotesi, individuare i significati; controllare l’attendibilità dei
documenti: veri o falsi? Rivolgersi, inoltre, a più fonti, chiedere anche ai
nonni. Soprattutto: cercare e approfondire sempre».
Sono queste le prime risposte degli alunni, troncate, purtroppo, dal
suono della campanella. Non sembrano bastare: il futuro ci offrirà
l’opportunità di riparlarne.
Nessun commento:
Posta un commento