(Villa Rangoni e il laghetto, a forma di cuore, che
Liliana cita nel suo “Diario” – Foto: raccolta privata –)
[...] Torniamo
al periodo della guerra, perché anche questa non la dimenticherò mai.
Le bombe, la
paura e la fame non si possono di certo dimenticare.
I primi tedeschi
che vennero a Spilamberto occuparono Villa Rangoni e prelevarono mia madre e
altre sue tre amiche dalla SIPE. Le mandarono a lavorare da loro, mantenendo gli
orari che facevano alla SIPE. Quando smontavano dal lavoro, uscivano dalla
Rocca Rangoni e venivano controllate da delle sentinelle che verificavano che
non portassero fuori nulla.
Mia madre
lavorava in cucina e qualcosa riusciva a mangiare, ma il problema eravamo io e
mio fratello. Trovò comunque il modo per riuscire a portare fuori qualcosa
anche per noi: visto che facevano tanto caffé e i fondi venivano buttati via,
chiese al cuoco se li poteva portare a casa per fare un po’ di caffé anche per
noi. E così prese un pentolino di smalto blu con un manico di ferro e cosa
fece, rischiando tanto? Sul fondo metteva uno strato spesso due dita di
zucchero e lo ricopriva con un po’ di fondi di caffé, passando al controllo, e
con quello ci nutrivamo un po’ anche noi. Ecco perché forse mi piace tanto il
caffé!
I primi tedeschi
erano molto umani. Una volta mia madre ci portò a casa dei dolcetti che le
avevano dato per noi bimbi. A quell’epoca la Villa Rangoni era molto bella ed
era circondata da un bellissimo parco dove c’era un laghetto a forma di cuore.
Nella Villa c’era una bellissima serra e c’era anche un campo da tennis che
loro usavano per tenerci animali (oche e maiali). La muraglia vicino al campo
confinava con via Savani. Mia madre, prima di terminare il lavoro, portava da
mangiare gli avanzi della mensa a questi animali. Quando un tedesco andava in
licenza, portava gli avanzi a casa. Arrivati verso le feste natalizie, mia
madre e le sue tre amiche (Bruna, Alberta e un’altra Bruna), si presero un
rischio enorme… ci pensarono tanto perché ciò che volevano fare era molto
pericoloso, ma qualcosa si doveva pur mangiare. Pensarono di rubare un’oca!
Impresa pericolosissima. Presero un sacco di iuta, infilarono dentro l’oca,
legarono il sacco e lo buttarono oltre il muro di cinta. Dall’altra parte del
muro c’erano altre due amiche che lo portarono a casa. Se i tedeschi se ne
fossero accorti le avrebbero uccise. E così, in una sera freddissima,
spellarono l’oca, la tagliarono in quattro parti e fu un Natale bellissimo!
Però la paura che anche dopo venissero scoperte era tanta, ma fortunatamente
andò tutto bene.
Quando la fame
era fortissima, con una scusa si cercava di andare da mia madre e lì i tedeschi
ci facevano mangiare qualcosa. Si parlava dei primi tedeschi, ma poi arrivarono
anche quelli delle SS che fecero tornare mia madre e le sue amiche alla SIPE,
visto che non erano mai state di fatto licenziate. Anche alla SIPE, però, non
era sicuro stare perché fabbricavano munizioni.
Mi ricordo che
una notte un mio zio contadino, di nascosto – perché allora c’era il coprifuoco
– ci portò un sacchetto di frumento, però non potevamo andare a macinarlo
perché per noi era proibito. Così, un po’ per sera, con un macinino da caffé si
macinava il frumento. Poi mia madre ci faceva un gnocchino e lo cuoceva su una
stufina di ghisa a due buchi e quella era la nostra cena. In quella stufina ci
bruciavamo un po’ di tutto. Si bagnava della carta, si facevano delle palle,
poi le facevi asciugare e si faceva fuoco con quelle. Bruciavamo anche qualche
stecco che cercavamo nei campi e poi c’erano delle mattonelle fatte con un
composto di vinacce, ma queste potevi comprarle solo se avevi i soldi.
Per far luce avevamo una lampada che si chiamava centilena.
Funzionava a carburo, che era un composto che faceva una gran puzza. Una
sera scoppiò, ma noi non ci facemmo nulla. [...]
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