«Anche mia nonna possiede un
castello» dice un ragazzo. Ma abbiamo già chiarito che “Castrum” a Spilamberto
non è il castello a cui si pensa generalmente, ma il territorio compreso dentro
le mura. Stiamo parlando del Medioevo con gli alunni delle due seconde medie
che partecipano al nostro viaggio nella storia di Spilamberto. È anche un
viaggio reale nel paese, con tre guide scelte tra i ragazzi stessi e che
trascinano il gruppone.
Inaspettatamente un alunno indica
il Museo dell’aceto balsamico e un suo amico piccato risponde: «So leggere»,
riferito alla targa all’ingresso. È la vecchia Villa Fabriani.
Abbiamo invitato i ragazzi a
cercare prima sulla carta, poi nel paese, gli edifici storici.
Davanti al Torrione qualcuno
dice: «E messer Filippo?» indicandolo
come “lo spirito”. La leggenda spunta sempre: chiariremo la prossima volta, il
programma di oggi è ormai troppo intenso.
Il ragazzo dello Sri Lanka,
uscito spavaldo nell’aria ancora gelida con la sola camicia, mi dice che anche
nel suo paese ci sono delle torri.
Ormai siamo davanti all’antico
Palazzo Rangoni (là, dove gli spilambertesi dicono di trovarsi “sotto il
portico di Bondi”!): a metà del Quattrocento era splendido, nel suo interno la
ricchezza e la “cortesia” affascinavano gli ospiti.
Un attento alunno ci indica in
lontananza la sconsacrata chiesa di S. Maria, inconfondibile, incoronata com’è
da tempi immemorabili dalle sue impalcature.
Immediatamente ecco qualcosa di
interessante, di cui si era parlato in aula, però ora invisibile; la guida
adulta la localizza con l’immaginazione: è la “Colonna rossa”, ed anche di
questa si parlerà poi.
Il vento leggero della storia ci
spinge nella corte d’onore della Rocca, dopo aver con fatica individuato sulla
pavimentazione i segni dello scavo ora ricoperto ... clic! scatto fotografico
di tutti noi dentro il perimetro che indica la collocazione del nucleo
originario, la prima torre; ma... non c’erano nemici da avvistare, solo la
preoccupazione di comparire in quella fotografia che ci ricorderà quel giorno.
Vinta la lotta con le serrature
ed entrati nell’altra più recente ala, è stato facilissimo individuare la “R”,
il documento materiale-visivo che rievoca i proprietari: i Rangoni.
Proprio su di essi era imperniata
la lezione, questa famiglia vissuta per molti secoli in simbiosi con il paese.
Per introdurre la loro importanza si erano proiettate diapositive, fra cui
quella del vicino Castelnuovo, pensando che i ragazzi ne avrebbero completato
il nome: C. Rangone; ma al nome Castelnuovo essi hanno associato in coro “il
maialino!”. Così la nobile casata è stata spodestata da quella piccola statua
che in mezzo alla piazza si presta pazientemente alle continue attenzioni di
bambini e passanti. La maestà del casato era però stata ripristinata dai
ritratti dei vari Signori, in particolare quello di Guglielmo II, che esibiva
un colletto di preziosa pelliccia. Impietosa, però, Criseide ha spiegato che la
funzione del pregiato colletto era anche quella di attirare, al “caldino”,
cimici e pidocchi, che abbondavano sulle persone di allora, poco amanti della
pulizia, se è vero, come si dice, che il Re Sole in tutta la sua vita ha fatto
il bagno solo tre volte!
È tardi, bisogna tornare a scuola; usciti dalla Rocca troviamo l’ex
maggiordomo degli ultimi Marchesi che ci osserva; lo salutiamo gentilmente.
Bisogna affrettarci.
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