mercoledì 21 giugno 2017

LA MEMORIA IN TAVOLA: LE RICETTE DI MARNA /1


(Pastello di Cristina Grandi)


Il nocino: un profumo, un colore, un sapore.

Nel bosco, con il cane, un intenso profumo familiare: il mallo di una pianta di noce. Era quasi il momento di tastare le noci per preparare il nocino.
La tradizione vuole questi frutti bagnati dalla guazza di San Giovanni. In questi ultimi anni il clima è cambiato e si rischia di avere un frutto troppo maturo. La giusta maturazione si ha quando, forando il mallo con un grosso ago, lo si riesce a penetrare senza trovare una eccessiva resistenza.
La ricetta: 1litro di alcol a 95°, 23 noci (il numero deve essere dispari), 600gr. di zucchero, 400gr. di acqua, un chiodo di garofano, 2 chicchi di caffé, un cm. di cannella, una foglia di noce.
Meglio utilizzare due guanti, la macchia del mallo potrebbe rimane per giorni.
In un contenitore a bocca larga mettere l’alcol, aggiungervi le noci, pulite con un panno umido e tagliate in quarti, lasciare aperto il vaso e mescolare di tanto in tanto.
In un tegame versare l’acqua, aggiungere lo zucchero (un pezzetto di buccia di limone è il mio segreto), portare a leggero bollore, fare sciogliere bene lo zucchero, spegnere e lasciare raffreddare completamente.
Aggiungere lo sciroppo ottenuto all’infuso di noci, unire le spezie, chiudere. La tradizione lo vuole esposto al sole, io seguo Pellegrino Artusi che lo consiglia al caldo, ma al buio per 40 giorni. Quindi lo metto in acetaia, dove in estate la temperatura arriva anche a 40°. Occorre mescolare ogni tanto.
Trascorso il tempo di infusione filtrare, mettere in bottiglie scure, aspettare almeno un anno prima di consumare.
Io faccio invecchiare in una piccola botticella di castagno per un anno il mio nocino filtrato anziché imbottigliarlo immediatamente. È dal 1972 che preparo un mignon come ricordo gustativo dell’annata.
Il ricordo: per parecchi anni ho dormito nel letto con mia nonna Annetta che soffriva di insonnia. A volte, di notte, quando mi svegliavo, la vedevo seduta sul letto, con lo scialle sulle spalle, intenta a sferruzzare. A volte, invece, piano si alzava, con una piccola chiave che teneva al collo apriva l’anta centrale dell’armadio, versava un liquido scuro in un piccolo bicchiere e lo beveva. L’indomani, quando le dicevo di averla vista bere subito indispettita, alzava le spalle, poi mi guardava e non riusciva a trattenere un sorriso un po’ malizioso, ma nello stesso tempo innocente di chi non sa mentire. Era lei che a casa nostra preparava il nocino.
Non ne ricordo il sapore perché ero piccola e non mi era permesso bere liquore, ma so che al termine della preparazione aggiungeva un “estratto di nocino”: liquido scuro contenuto in una bottiglietta in vendita nelle drogherie.
L’oggi: per alcuni anni ho fatto parte dell’ “Ordine del nocino modenese”, che ha sede a Spilamberto, istituzione alla quale possono aderire solo donne. Esse trasmettono la cultura e la tradizione di questo delizioso liquore, organizzano un concorso e per San Valentino un pranzo, dove vengono premiati i dodici nocini meglio qualificati.
Nei nocini premiati, e che ho avuto l’opportunità di assaggiare, spesso non è utilizzata l’acqua: il risultato è un prodotto molto diverso dal nocino tradizionale. A mio avviso si è trasformato in un liquore per signore, quasi un rosolio.
Nel 1998, sul quotidiano ticinese “La Regione”, è stato scritto un articolo che parlava del nocino modenese. Veniva citato Spilamberto e il signor Roberto Zacchieri (uno dei fondatori della “Consorteria dell’Aceto Balsamico”). Avevo appena assistito allo spettacolo “La Ghianda di Giove” rappresentato nel Torrione per la ricorrenza ventennale dell’ “Ordine del nocino modenese”. Colta da campanilismo ho inviato al giornale uno scritto con dettagli che completavano l’argomento e, con il permesso della figlia di Zacchieri, il segreto della ricetta di suo padre. Egli quando preparava lo sciroppo di acqua e zucchero per il nocino ne caramellizzava una parte. Io ho provato e questo procedimento rende il nocino più denso, quasi cremoso e più scuro.
Oltre il confine: qui in Ticino si prepara il Ratafià che molti chiamano nocino. La differenza tra i due sta nell’ingrediente alcolico; alcol a 95° per il Nocino, grappa di uva americana o di uva Merlot per il Ratafià. Il procedimento è molto simile, ma è minore il numero delle noci, molte più le spezie tra le quali il baccello di vaniglia. Gustativamente è un liquore molto diverso. Se prodotto con l’uva americana, che è molto aromatica, se ne percepisce il sapore, è meno alcolico, più speziato, più dolce e, visivamente, molto più chiaro rispetto al nocino.
Sia il Nocino sia il Ratafià vengono preparati dall’industria, ma sono anche liquori casalinghi e la ricetta varia di casa in casa, e di regione in regione.

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