mercoledì 7 giugno 2017

CARAMELLE DALL’ARCHIVIO / 43: UN’INVENZIONE ENOLINGUISTICA SPILAMBERTESE: “SQUASA BALA”


Il capanno dello “Squasa Bala” in riva al Panaro. – Fotografia: raccolta privata


(Sunto di un’intervista rilasciata da Alessandro Giusti)

Prima parte

C’era una volta un capanno in riva al Panaro. In un certo periodo, era il 1976/77, chiunque vi poteva entrare, perché era sempre presidiato da qualcuno: vi si parlava, vi si beveva e, qualche volta, vi si cenava pure; l’organizzazione era efficiente, ma rigorosamente improvvisata. Non era un circolo privato, infatti era proibito avere tessere da esibire. Ognuno doveva portare, secondo le proprie possibilità, cibi o bevande. Il “capo cuoco”, un certo signor Malmusi, provvedeva a cucinare, tuttavia chiunque poteva mettersi ai fornelli secondo il proprio estro culinario, bastava informarne il “capo cuoco”.
Alcune mogli, all’occorrenza, davano una mano, in primo luogo quella di Manganèl (parleremo presto di lui) e quella del suo braccio destro, “al Mérel”.
Il ritrovo si era sviluppato a partire da un capanno sulla riva del Panaro che Manganèl, scutmai di Gualtiero Varroni, il pittore, aveva in affitto dal pubblico demanio: con qualche lavoretto divenne abitabile e iniziò la sua singolare avventura.
Squasa Bala” fu il nome che il suo fondatore, Manganèl, diede a questo bislacco sodalizio. “Squassare” è sinonimo di “scrollare”, e “balla” sta per “sbornia”.
I frequentatori, o almeno i fondatori del ritrovo, pensarono di creare un luogo dove riunirsi per smaltire la sbornia acquisita altrove, spesso al “Bar Nazionale”, ed infatti la prima idea della nascita di “Squasa Bala” venne proprio al citato fondatore insieme al gestore di quel bar, Romano Franciosi.
Le attività svolte allo “Squasa Bala”, dalle iniziali discussioni tra amici, ben presto si articolarono. Si organizzavano divagazioni “culturali” cicliche, ma non programmate, come quella di premiare il personaggio più strano dei presenti, oppure chi avesse in quel momento, o avesse avuto in un’occasione precedente, la “sémmia” (ovvero “sbornia”) più grossa.
In questi casi nascevano dibattiti molto accesi e discussioni interminabili, con fiumi di vino che, a volte, facevano rimbalzare la “semmia” più grossa da un personaggio all’altro.
Oltre naturalmente al vino, che scorreva in abbondanza e attirava clienti, vi era un piatto forte: si trattava delle cotiche coi fagioli.
In breve tempo la fama di questo luogo, che pareva incarnare l’essenza dell’anticonformismo, si allargò e un po’ per le migliorie che di mano in mano vi si apportavano, un po’ per la splendida posizione sulla riva del fiume, un po’ per la simpatia dei “gestori” cominciò ad attirare “clienti” anche da fuori. [...]

Arrivederci alla prossima, ed ultima, puntata!

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