mercoledì 28 giugno 2017

PAGINE DI DIARIO / 19

(Spilamberto, “Ventennio fascista”: un gruppo di “Piccole italiane” sfila lungo Corso Umberto I.
- Fotografia da raccolta privata-)


Da “Ricordi di una ragazzina”, di Liliana Malferrari (stampato nel dicembre del 2015).


Parte quarta

[...] Una notte ci fu un gran bombardamento. I punti presi di mira erano la ferrovia (che passava proprio alla fine di via Obici), il ponte e la Villa Rangoni, dove c’era il comando tedesco. Quella notte dormimmo nei campi, sotto i filari dei vigneti e a noi andò bene, tuttavia morirono anche dei civili. Quanta paura! Ero una bimba di otto anni. Quando bombardavano, mollavano anche dei bengala che illuminavano la zona da colpire.
La povertà ti matura troppo in fretta. A quei tempi per poter mangiare qualcosa andavi per le case dei contadini a chiedere l’elemosina, ma era dura anche per loro. A volte ci davano qualcosa tipo un uovo oppure un pezzetto di pane. Quando non ti davano nulla, cercavi di rubare nei campi, tipo frutta o quello che trovavi. Ma non era rubare… era FAME.
Di giorno, quando suonava l’allarme, ci nascondevamo nella Rocca Rangoni, perché aveva delle mura grossissime, e lì ci sentivamo più sicuri.
Ricordiamoci che c’era anche il fascismo e la gente era terrorizzata, perché se non avevi la loro tessera venivi perseguitato. Quante ingiustizie sono state fatte, quanti giovani innocenti sono stati uccisi o portati via, senza che si sapesse più niente di loro.
Ricordo un mattino che era ancora buio e venne un amico di famiglia disperato. Gli avevano impiccato con del filo di ferro il figlio di 19 anni e altri suoi amici. L’esecuzione è avvenuta al Bettolino, una frazione di Vignola. Era il 13 febbraio 1945. Li lasciarono appesi fino al giorno dopo perché nessuno aveva il permesso di tirarli giù. Quando finalmente poterono prendere i corpi, fu la madre del ragazzo a tirarlo giù. Che orrore fu! Ancora oggi c’è una lapide in suo ricordo.
A scuola avevano dato una divisa a noi bimbi, per l’ora in cui si faceva ginnastica. Noi bimbe avevamo una camicetta bianca e una gonna a pieghe nera. I maschi portavano camicia e pantaloni neri e un berretto con fiocco. Loro si chiamavano “i Piccoli Balilla”, noi “le Piccole Italiane”. La scuola non c’era tutti i giorni: come si faceva a insegnare ai ragazzi che vivevano in un periodo dove già tutto ciò che accadeva era un insegnamento? Era regime e loro giravano con i manganelli sempre pronti e li adoperavano spesso, terrorizzando tutti.
All’inizio di via Obici c’era una signora che si chiamava Ida. Era benestante e molto buona. Quando, una volta alla settimana, c’era da andare con la tessera a prendere la carne, c’era da fare una fila lunghissima. Così noi bimbi si faceva a gara per andarci al suo posto perché lei, per ricompensa, ti dava un pezzetto di pane bianco, che avevano in pochissimi.
Alla sera c’era il coprifuoco e non si poteva uscire. Si doveva stare chiusi in casa, con finestre tappate così bene da non far vedere nessuno spiraglio di luce dall’esterno. Noi bimbi si giocava per le scale e, se non suonava l’allarme, si andava a letto presto, tante volte senza cena e con tanta fame. [...]

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