“LA SQUILLA RAPITA”
(terza parte)
di Lamberto da Spiniosilva (pseudonimo di Silvio Cevolani),
Mercatino di via Obici, CXXVII Fiera di San Giovanni, Spilamberto, 24 giugno 1997.
Disegno di Gustavo Cevolani
Sintesi
della puntata precedente
Il conte Boschetti di S.
Cesario, per mezzo di un banchetto pantagruelico, convince Piccardo e il suo
drappello di gran bevitori a muoversi in aiuto dell’imperatore Barbarossa.
Questo era in guerra con il Papa e aveva posto l’assedio a Castelfranco.
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Dopo la grande abbuffata, senza
sapere come, i prodi si risvegliano sul greto del Panaro. La scena è “patetica
e penosa [...] mandavano un puzzo d’orinale/ che con gran gioia un rosso
bastardino / saltellando annusava lì vicino”. Litigano subito sul da farsi,
finché Piccardo fa notare che si trovano sul lato bolognese del fiume, in terra
nemica. Si va alla ricerca di un guado, “Era d’estate e il fiume era ridotto
/ a poco più di un largo torrentello / profondo sì e no fino al panciotto. / Nondimeno,
guadare fu un macello: / molti finiron con la testa sotto, / altri persero
l’armi od il fardello / e fu un gruppetto di pulcin bagnati / che infin
raggiunse i prospicienti prati.”
Un altro pisolino. Al risveglio l’esortazione di Piccardo di andare a compier
la missione esalta a tal punto il loro eroico coraggio che “...freddini:
ognun, pallido in volto oppur paonazzo, / di sottecchi guardava i suoi vicini/
come a esortarli a toglier l’imbarazzo: / ma intorno si vedean sol capi chini”. Si accetta perciò la proposta di
Farinazzo; egli convince anche Piccardo con del pignoletto che “a mo’ di
precauzione, / seco portava dentro un bariletto” e si dirigono nella parte
opposta, verso Spilamberto. “Era il cammino aspro e accidentato, sassi
dovunque, arbusti in gran groviglio”. Sembra l’ingresso dell’inferno
dantesco.
La fattoria del paese li accoglie
con “un profumino / di cacciatora, o forse di soffritto”. Se inferno è,
è quello di un’osteria. All’intimazione di Piccardo “di spalancar le ante”
entra nella vicenda il primo spilambertese “ed una testa fece capolino /
mostrando un volto invero un poco strano : / gialli i capelli, occhio
malandrino, / la pelle da selvaggio americano, / ovverosia color rosso rubino
[..]”, il contadino, un certo Bergonzini / più noto come Chiacchi
all’osteria”. Alla
richiesta di cibo replica: “posso darvi fagioli e maltagliati, / se potete
pagar cinque ducati”. L’affermazione sta per scatenare uno scontro quando
entra in scena un protagonista che dà l’avvio vero e proprio alla vicenda. “Piccardo
corse con la mano al brando / e già Chiacchi traea fuori il forcone / ancor di sterco ricoperto,
quando / dietro al fienil scoppiò gran confusione / d’alte voci che
stavano gridando / in preda a gran trasporto di passione. / Emise Chiacchi un
grido di dolore, / sbiancossi in volto e urlò: l’Imperatore!”.
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