Da “Ricordi di una ragazzina”, di Liliana
Malferrari
(stampato nel dicembre del 2015)
Parte quinta
(Fotografia di via Obici, ripresa dal lato nord.)
[...] Vorrei poter spiegare come
era via Obici: una strada fatta di sassi, un portico bellissimo, una fontana
all’inizio dei portici. Sempre all’inizio del porticato c’erano i gabinetti
pubblici, sempre con tanta puzza. In via Obici c’erano tante “canole” alle quali si accedeva dalle
abitazioni dei “birocciai”. C’erano
le stalle con i cavalli, le sue “aldmere”.
C’erano anche topi grossi come gatti, ma pochi gatti, perché in inverno molta
gente li mangiava. È successo anche a noi.
A quel tempo si andava a prendere
l’acqua alla fontana, con dei secchi. Nessuno aveva l’acqua in casa. L’acqua
serviva per fare da mangiare e per lavarsi. Serviva per tutto. Dopo averla
adoperata, ti serviva un altro secchio per metterci quella sporca e la portavi
giù, nella fogna. Qualche abitazione aveva il pozzo: con una corda mollavi giù
nel pozzo un secchio e lo tiravi su pieno.
Alla fine del portico c’era una
osteria chiamata “Bucler”. Lì
facevano anche qualcosa da mangiare.
C’era gente che suonava la
chitarra e un mandolino e cantavano gli stornelli. Nella sua miseria era una
via di gente allegra, ma anche strana. Sarà sempre la mia bella via Obici!
Nell’aprile del 1945 finì la
guerra, ma non la fame. Avevo dieci anni e cominciò un altro periodo nero, ma
piano piano si cominciò a ricostruire e cominciai a lavorare. Al mattino andavo
a scuola, facevo la quinta elementare, e di pomeriggio andavo da una signora a
badare a una bimba piccola. La portavo a spasso poi le preparavo la merenda:
era un biberon di latte e dovevo metterci dentro quattro biscotti, ma due li
mangiavo io di nascosto (però la bimba è cresciuta bene ugualmente).
Non avevo tanto tempo per
giocare, così un giorno pensai di prendermi una vacanza e feci cabò. La mia cara amica Elettra aveva
avuto il tifo e così non andava più a scuola. Tutti i giorni portava la sua
papera a mangiare su un’altura della Rocca. Pensai di andare con lei a giocare.
Dopo tre giorni mia madre se ne accorse e mi diede così tante botte che mi
venne la febbre. Da allora non stetti mai più a casa da scuola e dal mio lavoro
dalla signora!
Finito le scuole feci altri lavoretti per aiutare in casa. Ne ho fatti
tanti di lavori. [...]
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