mercoledì 28 dicembre 2016

NOMINA NUDA TENEMUS / 3: UN TUFFO TRA CASALI, CASTELLI E GIARDINI


(Particolare di pergamena conservata presso l’Archivio dell’Abbazia di Nonantola, nella quale si leggono gli antichi nomi del territorio spilambertese)


L’importanza dell’Ospitale di San Bartolomeo – lo abbiamo visto nella scorsa puntata – risiede anche nel suo essere stato un riferimento geografico fondamentale per individuare il territorio spilambertese nell’antichità, prima ancora che comparisse il nome stesso del paese.

Secondo le prime carte che lo descrivono, l’Ospitale si trovava in una località nominata “Casale”, “Castiglione” oppure “Verdeta”: così si chiamava il nostro territorio in documenti antichissimi di età longobarda, risalenti a prima dell’800 d.C.
Questi nomi sono importanti, perché ci parlano della situazione del territorio di Spilamberto diversi secoli prima della fondazione del paese.

Il nome “Casale” probabilmente rimanda, come nell’italiano d’oggi, ad un edificio di campagna, e nel latino dell’epoca indica anche il terreno che vi sorge attorno. L’immagine che ci viene trasmessa dal nome è dunque quella di un territorio per lo più disabitato, punteggiato solo da qualche casolare sparso.

“Castiglione” è senz’altro un diminutivo di “castello”. Non dobbiamo però pensare al castello medioevale con mura, torri e ponte levatoio, ma piuttosto a un piccolo borgo fortificato. Non si può escludere che esistesse sul territorio di Spilamberto un paese prima dell’attuale; è più probabile però che a qualche chilometro dall’odierno centro abitato vi fosse un insediamento fortificato preromano o romano, riutilizzato in epoca altomedievale. Infatti al termine di via S. Liberata è stata individuata una fattoria romana, e il luogo denominato Ergastolo fa riferimento al locale in cui venivano tenuti gli schiavi in catene durante la notte.

Più affascinante il significato del nome “Verdeta”: la località è chiamata così perché, come recita un documento del 776 d.C., “vi si trova il giardino di piacere del Re (il longobardo Astolfo)”. Un giardino, un parco regale sorgeva dunque sul territorio che oggi è Spilamberto.

Tre nomi dunque per il nostro territorio in epoca antica: ma tra casali, castelli e giardini… dov’erano le spine che danno oggi il nome al paese?

[Le informazioni e l’immagine sono tratte da C. Caprara - C. Cevolani - P. Corni, “In loco qui dicitur Spino Lamberti” e da S. Cevolani, “Prima del castrum”, pubblicati rispettivamente nel 2010 e nel 2012 dall’Istituto Enciclopedico Settecani]

mercoledì 21 dicembre 2016

CAPRICCI DIALETTALI / 6: NATALE 2000


Corriere della Sera: nella presentazione del nuovo libro del filosofo Stefano Zecchi leggiamo che “il progresso e il globalismo hanno danneggiato la tradizione intesa come radicamento in una storia che costituisce la tua identità”; questo fenomeno “ha portato l’Occidente ad essere sì un Paradiso, ma dal ventre molle, a essere una grande luminaria per il resto del mondo ma, in realtà, una piccola bottega in totale abbandono verso la propria tradizione, succube di modelli di sviluppo che non erano i suoi propri.”

Cosa ha a che fare questo con Spilamberto e con il Natale?
Il collegamento è dato da una poesia natalizia pubblicata alcuni anni fa da Silvio Cevolani, che introducendola scriveva:
“Per carità, non mi lamento, la vita è certamente migliorata. Ma questa società di impiegati e montatori che tutti la sera guardano la stessa televisione, tutti sgranocchiando pop-corn che arriva da chissadove grazie a mirabili conservanti, ebbene, questa società mi lascia perplesso. A volte mi dà l'impressione di un motore che gira a vuoto; sempre mi trasmette un senso di fragilità e la netta sensazione non di un perfezionamento ma di una non necessaria frattura nei riguardi del modo di vivere che abbiamo seguito per secoli. Ed ero preso da queste riflessioni quando, la vigilia di Natale del 1998, tornando da un malinconico giro in una Piazza semideserta, scrissi questi pochi versi…”

Ed ecco dunque i versi di Silvio, con i quali facciamo a tutti i nostri lettori i migliori auguri di un sereno Natale.

Long tota la Piaza, fra Roca e Turoun,
l’é tota ‘na lus, l’é tot un lampioun.
Ch’el quater buteigh gli han fat la vedreina
coun lus, musicata e na man d’purpureina.
I ein poch qui chi pasen, i ein svelti e sicuri,
e seinza fermeres is disen: «Avguri!»
I ein poch: tot chi eter i ein bele a la Cop
chi coumpren pandori, champagne e culotte.
Turnessa al Bambein in ste mond ed lampioun
al post ed ‘na stala igh darevn un scatloun.


[Natale 2000, da S. Cevolani e G. Cevolani, Storia di Spilamberto a Sonetti, Mercatino di via Obici, 2003]

mercoledì 14 dicembre 2016

“PAGINE DI DIARIO”/ 13


Parte seconda

[...] Mia madre lavorava alla Sipe, che era una fabbrica di esplosivi. Lei faceva i turni dalle sei del mattino alle due di pomeriggio e mangiava là. Noi eravamo a casa da soli. Mia madre, per non lasciarci soli, fino dall’età di sei mesi e mezzo ci aveva messi a balia da una vicina di casa: la chiamavamo nonna Faustina. Nonna Faustina ci ha voluto molto bene e anche noi l’amavamo molto. L’unica cosa è che puzzava, ma noi non ci si badava. Metà dello stipendio di mia madre serviva per pagare lei.
A quell’epoca non c’erano gli asili nido e noi eravamo due gemelli senza padre.
Alla nonna Faustina abbiamo voluto tanto bene, come a una mamma, e lei ce ne ha voluto come se fossimo suoi figli. La ricordo ancora oggi con amore. Ancora oggi ricordo quella casa buia a solaio, con una piccola finestra che guardava la via Obici. Una cucina nera, con due fornelli in pietra, e si faceva il fuoco con il carbone. C’era sempre un gran fumo ed era nerissima. C’era poi una rete che faceva da letto e sulla quale abbiamo fatto così tanti salti fino a disfarla. Nonna Faustina non aveva il gabinetto in casa e, come tutte le vecchie di una volta, non portava le mutande: quando doveva urinare andava nella stalla, che era al pianterreno, si metteva a gambe aperte, con una mano spostava il grembiule e quando aveva finito si puliva con lo stesso grembiule che veniva lavato ogni quindici giorni. Figuriamoci l’odore che poteva fare! Nessuno aveva l’acqua in casa: c’erano i pozzi.
La via Obici era una via di stalle e di cavalli e birocci che servivano per andare in Panaro per prendere la ghiaia per i frantoi. Quella casa era la mia seconda casa. Grazie nonna Faustina per il bene che ci hai voluto. Non ci hai mai fatti sentire soli, specialmente in quei tristissimi anni. Tu sarai sempre nei miei pensieri. [...]

Nell'immagine: casa, ora ristrutturata, sita in via Obici, nel cui sottotetto abitava “nonna Faustina”; al piano terra vi era la stalla.

mercoledì 7 dicembre 2016

IL GIGANTE SPINALAMBERTO / 1: “BERTO PER GLI AMICI”



Ed eccolo Berto: adulto; il fisico possente in riposo su un tallone, ma dinamico, proteso a una nuova partenza, pronto a scattare, a difendersi e a difendere. Ispira senso di sicurezza e protezione, più che aggressività. Abbigliamento ed arma richiamano una storia lontana, che è quella del nostro paese. La robusta clava fa pensare ad Ercole, ci proietta in un’aura mitica, ma l’abbigliamento pesante è tipico di un clima continentale.
Il disegno e il personaggio ricalcano esattamente i confini di Spilamberto. È dal contorno di essi che Fabiano Amadessi ha ricavato questa figura, che diventa una bella allegoria del nostro paese. Ci rimanda alla sua antica storia, al mito del nome, alla sua nascita legata alla necessità di difesa; allora erano i bolognesi i nemici. Dalle sue spalle emerge il senso di protezione, un dinamismo che sollecita la capacità di riprendersi anche dopo momenti di crisi. Ebbene, sono tutte proprietà che uniscono l’uomo e il paese.
Poi Berto, seguendo una caratteristica degli Spilambertesi, è un narratore e, siccome ama i bambini, si ritrova spesso con un gruppo di loro sotto una quercia in un luogo appartato, a Collecchio, e lì racconta storie, a volte legate a fatti reali, a volte più fiabesche. I bambini sono affascinati e a loro piacciono soprattutto quelle legate al “doppio”.

Vi diamo appuntamento per leggere le sue storie.

mercoledì 30 novembre 2016

IL VECCHIO COMUNE SI RACCONTA / 3°: LA “VOCE” DEL COMUNE DI SPILAMBERTO


La “Comunità” di Spilamberto aveva la possibilità di prendere decisioni, di far sentire il proprio parere, di interloquire con i poteri forti di allora: il “potere di banno” del marchese Rangoni, ma anche degli Este, duchi di Modena e Ferrara.
Questa era la “voce” della “Comunità” che è stata documentata e che ha dato vita all’Archivio Storico Comunale del paese e alla sua straordinaria ricchezza.
Avere la possibilità di esprimere le proprie opinioni non significava, però, averla sempre vinta sulle imposizioni e le richieste dei poteri superiori.
Il 23 febbraio 1561 la “voce” non riuscì ad avere la meglio nei confronti degli Este.
Nell’edificio detto la “Sega” a Spilamberto, di proprietà Rangoni, si trovavano travi ed assi di legno e il governo modenese era interessato ad averli. A questa imposizione dovettero cedere i Consiglieri riuniti. Ma il danno non si limitava al materiale. C’era pure la spesa del trasporto, i cosiddetti “carreggi”. In quel caso se ne dovettero incaricare i mezzadri dei privilegiati spilambertesi, cioè di coloro che avevano il diritto di non pagare le tasse, gli “esenti”, ovvero i nobili Rangoni, i frati e le suore. Si trattava di denari e animali per trasferire il legname.
Fu sicuramente un abuso, un’imposizione, quasi una pena da scontare. In quei giorni le braccia di quegli uomini non vennero destinate ai lavori dei campi, ma al servizio di “Sua Eccellenza il Duca”.
Per noi, oggi, c’è però un dato positivo: conosciamo i nomi dei “fortunati” prescelti ed è un’occasione per individuare nomi di “antichi” spilambertesi!
Eccoli:

-          Alcuni componenti della famiglia Berselli, mezzadri delle “Suore di San Paolo” e dei Rangoni
-          Jacomo Vezzale (Giacomo Vezzali)
-          Antonio Solmo (Antonio Solmi)  
-          Pedro Antonio Selingardo (Pietro Antonio Silingardi)
-          Matteo Solignano
-          Pedro Cuzano (Pietro Cusano)
-          Zuliano de Selmo (Giuliano Selmi)
-          Baldissera Bersello (Baldassarre Berselli)
-          Domenico Caretta  (Domenico Carretta)
-          Pedro Adani (Pietro Adani)
-          Zoanno da Rola (Giovanni Roli)
-          Zan Francesco Chechini (Gian Francesco Chechini o “Cecchini”?)
-          Zoanno Bavalotto (Giovanni Bavalotto)


Nell'immagine: mappa (1761) della zona compresa tra l’Oratorio di S.Pellegrino, il fiume Panaro, il “Castello” e abitato di Spilamberto e il canale del Diamante. Il cerchietto rosso indica i campi di proprietà delle suore di S. Paolo di Modena. Documento presente nell’Archivio Storico Comunale di Modena.

mercoledì 23 novembre 2016

SPILAMBERTESI DA RICORDARE / 6°: GERMANA BETTELLI


Ancora fra noi

Provincia di Modena, lunedì 19 settembre 2016: iniziava la settimana dedicata alla “Poesia”, il festival che ogni anno percorre vari paesi del nostro territorio.
Spilamberto iniziava con un tributo ad una nostra cittadina: Germana Bettelli.
Il “Cortile d’onore” della Rocca, fra tante presenze, ha accolto le celebrazioni di questa persona che nel silenzio ha scritto la sua vita, coltivando la sua arte nella riservatezza, pur essendo un personaggio pubblico: era un’insegnante. Una maestra che con le proprie competenze, sensibilità e doti ha regalato moltissimo a quella scuola a “Tempo pieno” di Spilamberto che, negli anni Settanta, era diventata il centro propulsore di un nuovo metodo ed organizzazione di insegnamento.
All’interno di questa scuola all’avanguardia e nei laboratori artistici da lei diretti, riusciva a far emergere in una serena naturalezza le personali doti di ogni alunno, a gratificare le loro produzioni con la soddisfazione appagante di aver creato opere uniche, personali, che tutti poi avrebbero potuto ammirare nelle mostre appositamente allestite.
Germana, nata a Spilamberto il 27/10/1934 e morta nel proprio paese il 26/08/2013, era una pittrice.
Un’artista la cui arte si esprimeva nell’armonia delle sue visioni, sensazioni, sentimenti espressi tangibilmente sulle tele, in cui gli stessi colori rivelavano l’interiorità del momento della creazione.
Il suo sentire non si limitava ad essere espresso con i pennelli. La poesia è stata un suo linguaggio muto, per lasciare sulla carta ciò che la voce non riusciva ad esprimere verbalmente.
Poesie silenziose, le sue.
Conosciamola anche attraverso una di queste:

 La mia commedia

Mi piace essere sola
coi miei pensieri.
Salgono allora
dal vuoto del tempo
le voci e i volti
di chi è rimasto
dentro al mio cuore
e fanno insieme
una commedia vera,
viva di luci,
calda di colori.
I minuti che passano
hanno gli stivali
delle sette leghe.


Nell'immagine: “Vegetazione” o “Libellule”. Olio su tela: realizzazione di Germana Bettelli.

mercoledì 16 novembre 2016

“PAGINE DI DIARIO” / 12

Da “Quel Piazzale della mia infanzia”, di Laura Bertarelli (stampato nel maggio del 2005)
Parte quinta

[...] La nonna Ida non era molto religiosa nel senso di praticante, ma la rettitudine morale, l’onestà, i buoni principi, il bene verso il prossimo erano così tanti che supplivano alle altre mancanze. Era una donna combattiva, politicamente impegnata, antifascista convinta e fino alla morte ha tenuto fede alla sua idea.
La sua mamma, che si chiamava Rosa, morì sfinita dai tanti parti e per i patimenti dovuti a una vita di fame e miseria.
Ci raccontava di quando, bambina con i suoi dieci  fratelli, il padre non lo prendevano a lavorare in campagna perché erano in troppi e per essere accettati, quando arrivava il padrone, dovevano nascondere i fratellini più piccoli nella cassa del granoturco.
Mangiavano quasi sempre polenta, qualche volta con una saracca.
Il loro padre si chiamava Filippo “Flipein”; per poter lavorare, ogni tanto partiva per la Romania con delle spedizioni di uomini che andavano ad abbattere alberi, in  seguito vendette pentolame alle case con un carrettino a mano.
Proprio per questo fu sempre schierata dalla parte dei più deboli e poveri e come poteva li aiutava.
Era stata in prima fila nelle lotte socialiste, partecipava alle riunioni antifasciste e portava nelle manifestazioni la bandiera. Fu messa in guardina per qualche giorno perché sferrò un calcio a un carabiniere che voleva bloccarla.
Una volta andò a una riunione politica con il suo papà, ormai anziano, a un certo punto intonarono l’inno fascista, gli uomini dovevano alzarsi in piedi e togliersi il cappello, lei non volle che suo padre lo facesse, infatti fu l’unico a tenerlo in testa.
Un’altra volta una squadra di fascisti andarono a prelevare un uomo, suo vicino di casa, sospettato, un socialista, per picchiarlo e dargli da bere l’olio di ricino.
Solo lei si mise davanti a loro, tra lo spavento dei familiari rintanati in casa, maledicendoli perché facevano del male a un  uomo che non aveva fatto niente a nessuno.
Era molto determinata, fu minacciata più volte, ma non fu mai nemmeno sfiorata, incuteva rispetto.
Aveva perso tre fratelli giovanissimi nella prima guerra mondiale, uno è sepolto a Redipuglia e due furono dati per dispersi, uno di questi era il padre di Ermes, il quale prima di ripartire dopo una breve licenza, esternò alla nonna che lo accompagnava il dispiacere di lasciare i suoi due figli perché sicuramente non sarebbe più tornato.
La salutò con gli occhi velati di una infinita tristezza ben consapevole che non l’avrebbe più rivista, e così purtroppo è stato. [...]

(Arrivederci alla prossima puntata)

[Nell'immagine: La nonna di Laura, Ida]