mercoledì 27 luglio 2016

ROCCA DELLE MIE BRAME / 17°: MORTE IN ROCCA: RISPONDONO LE CAMPANE


“ [...] Il Popolo di Spilamberto non fu già ingrato a così amico Signore, dando segno del suo dolore con la Campana del Pubblico, e con quelle ancora di tutte le Chiese del Castello istesso e Territorio del medesimo Spilamberto, essendo egli stato Protettore e confratello della Compagnia di S. Maria degli Angioli; questa Confraternità gli celebrò nell’Oratorio proprio e a proprie spese un sontuoso Funerale, con Messe, Uffizi, e con magnifico Catafalco [...]”.
Chi era costui: Luigi XIV, re Sole?
No, certo, ma fatte le debite proporzioni fra le vicende dei due, le somiglianze sono impressionanti. Filippo Rangoni non era il sovrano di Francia, ma il rampollo di una famiglia nobile tra le più famose d’Italia. Così pure la sua corte non era Versailles, ma la Rocca di Spilamberto.
Vivono i due e muoiono pressappoco nello stesso periodo.
Il Re Sole a 77 anni, nel 1715, si spegne nella sua camera da letto al centro del palazzo di Versailles per cancrena alle gambe, a causa della gotta di cui soffriva. Filippo muore, nel 1721, a 76 anni dopo aver sofferto di “idropisia di petto” che, diffusasi in tutto il corpo, colpì in modo particolare le gambe portandole alla necrosi.
Il padre cappuccino Gian Andrea Gregori, spilambertese, così impietosamente ci descrive la sua fine: “ [...] Filippo Rangoni, [...] munito di tutti gli SS. Sacramenti, [...]  passò all’altra vita [...] dopo d’essere stato aggravato da idropisia di petto per lo spazio di più di 3 mesi; la quale diffondendosi a poco a poco per tutto il corpo, e particolarmente nelle gambe, ben presto già quell’umore mordace gliele aveva tutte guaste ed affatto corrose. Tale acrimonia d’umore (aggressività della malattia) lo pose in tale necessità, che non potendo giacere disteso nel letto, lo sforzò a starsene coricato giorno e notte in uno sediglione d’appoggio, dal quale gli grondava del continuo copiosa marzia (marcio, pus) e putredine, che in questa guisa lo condusse ad esalare gli ultimi fiati di vita. [...]”.
Una fine non invidiabile se si pensa che una vita finalizzata al rafforzamento del potere e all’accrescimento delle ricchezze finisce raccolta in quel “sediglione”.
Inoltre, se Luigi XIV fu sepolto in Saint Denis, insieme ad altri potenti, Filippo Rangoni venne trasportato nella chiesa di San Vincenzo di Modena, che in seguito ospiterà la Cappella funebre dei Duchi Estensi.
Ecco allora che il suono delle campane ci richiama queste vite e morti parallele, spingendoci audacemente ad immaginare le Reggia di Versailles che sfuma e si trasforma nella Rocca dell’antico “Castello” di Spilamberto.

(I brani in corsivo sono tratti, con minime modifiche per una maggior comprensione, dalla pubblicazione “Una cronaca settecentesca”, a cura di Criseide Sassatelli, ed. Comune di Spilamberto 2006.)

[Nell'immagine: i tre campanili che ancora oggi spiccano nel cielo di Spilamberto – fotografia da raccolta privata.]

mercoledì 13 luglio 2016

IL VECCHIO COMUNE SI RACCONTA / 1°: UN CONSIGLIO NELLA TEMPESTA


La sala della “Consigliera” al piano terra del Torrione era affollata. Anche in quel gelido 10 gennaio 1561 le persone che componevano il “Consiglio della Comunità” erano accorse al suono della campana: venivano chiamate ad assumere importanti decisioni per gli abitanti del “Castello”. Pure quella volta si sarebbe votato utilizzando fave bianche per approvare e nere per esprimere voto contrario. La discussione riguardava l’assunzione per due anni del medico del “Castello”. Il marchese Rangoni, che anche da lontano vigilava sulle loro decisioni o personalmente o con un suo delegato, aveva proposto una persona di sua fiducia: Geminiano Biancolino.
Non sempre però il Consiglio accettava supinamente le idee del Marchese. Il Comune di Spilamberto aveva possibilità di discutere ed anche disapprovare le decisioni del “Signore”; erano, questi, particolari privilegi che non tutti gli altri Comuni avevano potuto mantenere. Gli incontri venivano di solito verbalizzate su fogli volanti, “squarzetti”.
La tempesta di neve che infuriava all’esterno, e imbiancava il “Castello”, quella giornata fu la testimone di un evento: per la prima volta il Cancelliere della “Comunità”, Nicolò Maria Tedeschi, diede inizio alla registrazione ufficiale delle riunioni, non più in brutte copie.
La ricca produzione di fonti scritte, vanto oggi dell’Archivio del Comune di Spilamberto, riceveva il proprio impulso dalle prerogative difese con costanza dalla “Comunità”.
Quei documenti, con diligenza redatti, continuano a parlarci, a ricordare, e a farci conoscere perfino i nomi di quei Consiglieri, sicuramente un po’ infreddoliti, ma fieri del loro compito e costanti nel loro operato.
(Nelle successive puntate riporteremo vari nomi di questi personaggi, per offrire ai lettori l’opportunità di ricostruire le radici spilambertesi dei propri antenati. Quindi... arrivederci a presto!)

Nell'immagine: al centro – tra arco ed entrata del Torrione – la porta di accesso all’antica “Consigliera”, stanza ove si riuniva il “Consiglio della Comunità” già nel lontano sec. XVI. Oggi ingresso ad una delle sale espositive allestite dal “Gruppo naturalisti” di Spilamberto.

mercoledì 6 luglio 2016

SPILAMBERTESI DA RICORDARE / 4°: CORRADO FOCHETTI (“la Foca”)


Corrado si racconta

Il mio nome all’anagrafe è Giorgio, mentre nell’atto di Battesimo è Corrado. Fin da piccolo, però, tutti mi hanno chiamato Corrado.
Credo di avere sempre avuto la passione per la pittura. Ricordo che fin dalle elementari disegnavo continuamente; per me disegnare era quasi un bisogno fisico. Purtroppo di quegli anni non ho conservato nessun disegno.
Nel 1958, attorno ai quindici anni, cominciai a lavorare. Era un lavoro che comportava molte ore libere in città e così affittai un sottotetto a Modena, in via Sant’Eufemia, ove, per molti anni, trascorsi le ore di sosta dipingendo, mentre nei giorni di riposo visitavo spesso mostre o musei.
A dipingere quadri ho iniziato, più o meno, in quegli anni. A quell’epoca ero anche appassionato di calcio, che praticavo con discreti risultati, ma la mia passione per la pittura ebbe il sopravvento su tutto il resto. Comunque, anche se autodidatta, ho sempre fatto il possibile per capire i segreti della tecnica pittorica, ho studiato e mi sono documentato su tutto ciò che non riuscivo a capire.
A Bologna conobbi il prof. Pozzati, in arte “Sebo”, pittore ed anche affermato creatore di immagini pubblicitarie. Pozzati, che frequentai per anni, mi aiutò a migliorare la tecnica della pittura partendo dal disegno a matita. In quegli anni frequentai anche il Prof. Battigelli, pure di Bologna, che mi diede preziosi consigli nella lettura delle nature morte, soprattutto in relazione alla capacità di individuare pieni, vuoti, luci, ombre.
Ho fatto parecchie mostre, ma sempre nell’ambito locale, Modena, Bologna e provincia. Ricordo la prima, organizzata nell’allora Sala Consiliare del Comune di Spilamberto, nel 1964. Contrariamente ad ogni previsione, ebbe un enorme successo e vendetti tutti i quadri tranne uno. Ma ciò che ricordo con più piacere di quella mostra è la grande partecipazione che ci fu attorno ad essa.
Ripenso anche a quella organizzata al “Real Fini”, nel 1968, che allargò un po’ la sfera dei miei conoscitori e diede inizio ad un periodo abbastanza felice, nel quale ebbi modo di vendere moltissimi quadri. Tuttavia non ho mai avuto legami con galleristi, e questo atteggiamento ha condizionato la mia vita, e non solo dal lato artistico. Un pittore dovrebbe farsi vedere, dovrebbe proporsi per ottenere qualche risultato, ma ciò mi è stato impossibile a causa del mio modo di essere, troppo chiuso e riservato. Ho conosciuto pochissimi critici d’arte, e ricordo: Umberto Zaccaria, che molti anni fa recensì una mia mostra; un collega pittore e critico di Castelfranco, il professor Celestino Simonini, che scrisse la recensione di alcune mie mostre.
Ferruccio Veronesi, del Resto del Carlino, è forse l’unico che si è interessato in modo continuativo al mio lavoro ed ha presenziato a molte delle mie mostre e mi ha dedicato anche qualche articolo.
Nel 1972 decisi di lasciare il lavoro per dare inizio alla mia avventura di pittore. Un’avventura contrassegnata non solo da successi ma anche da difficoltà, l’incapacità di dialogare con i galleristi, cui accennavo prima, che ha limitato la possibilità di far conoscere e, di conseguenza, di vendere tanti miei quadri. Anche il vizio di bere non mi ha giovato. Ho continuato così, in una alternanza fra periodi decisamente positivi ed altri meno, fino a pochi anni fa, quando ho chiuso col bere. Ora continuo a lavorare e a vivere solo, in questo appartamento dove abitavo da ragazzo coi miei genitori e mia sorella. L’estro creativo c’è ancora ma, a causa della mia salute non tanto buona, dipingo meno che in passato.
Non so se vi siano o no quadri di altri pittori somiglianti ai miei: nel dipingere ho sempre cercato di servire al meglio la mia sensibilità artistica che, forse, è originale. Circa la capacità di cambiare, credo che l’opinione corrente sia corretta: la mia passione per l’arte mi ha portato a una continua ricerca che ha dato luogo a cambiamenti radicali (la stagione delle zucche, seguita dalla stagione dei puntini, poi da quella dei nudi femminili stilizzati dal sapore surreale: n. d. r.).
Dal 1999 in poi i miei quadri si potrebbero definire degli insiemi di figure che si amalgamano e si compenetrano fra loro in modo da formare, spesso, una nuova figura al limite del surreale.
La mia strada l’ho scelta coscientemente e, se non si è rivelata la migliore, la responsabilità è solo mia. Perciò niente rimpianti.


(Sintesi di un’intervista realizzata da Luigi Barozzi e riportata nella rivista “Fatti vostri”, n. 7, settembre 2006; per ulteriori informazioni e realizzazioni artistiche di Corrado Fochetti vedi sito “spilambertonline.it” “Elenco artisti contemporanei spilambertesi”.)

(Nell'immagine: targa commemorativa di Corrado Fochetti per la dedicazione dello slargo prospiciente via San Giovanni, lato est; inaugurazione 23 settembre 2011)