mercoledì 31 maggio 2017

NOMINA NUDA TENEMUS / 7: VIAGGIO NEL TEMPO DI UN NOME COMPLICATO


Particolare di un documento del 1799 conservato presso l'Archivio di Stato di Modena


Il territorio di Spilamberto agli inizi dell’XI secolo ha un nome, ma questo nome dovrà affrontare varie sfide: un profumo contrastato. Innanzitutto l’unificazione dei due componenti: nel testo della vita di Adriano III compare “Lamberti spina”; successivamente troviamo un unico nome, ma Lamberto ha l’iniziale maiuscola, perciò è ancora considerato nome autonomo.

La definitiva unione dei due componenti lascia aperto il problema se il territorio si debba denominare “Spinalamberti” o “Spinumlamberti”, che si declina a volte in “Spinolamberti”.  La vince dopo accanita lotta il più orecchiabile “Spinalamberti”.

Tuttavia il viaggio continua: forse perché il nome risultava troppo lungo da scrivere a mano, si eliminavano o storpiavano uno o più suoni all'interno della parola, col risultato che una certa fantasia finiva per produrre variazioni diverse.

La cosa è andata avanti parecchio tempo: ancora a fine ‘700 in un unico documento si trova Spilimberto, Spilemberto e Spilamberto. Oggi a volte lo si confonde con Spilimbergo, e così finiamo per essere sospinti in provincia di Pordenone.

Ma recentemente una festa ha riportato l’antico nome “Spinalamberto”, dove la spina non profuma più, né punge, ma ci inonda del suo sapore amarognolo.

mercoledì 24 maggio 2017

PAGINE DI DIARIO / 18


(Vista panoramica del Piazzale tanto caro a Laura. Epoca: primi anni Cinquanta del Novecento.
Fotografia: raccolta privata.)


Da “Quel Piazzale della mia infanzia”, di Laura Bertarelli (stampato nel maggio del 2005).


Parte settima

[...] Quando nacqui io e il mio papà era in guerra, mio nonno veniva tutte le domeniche, in bicicletta o a piedi, da Castelvetro a Spilamberto per vedermi. [...]

Come ho già detto, la nonna Bruna era una persona silenziosa, si aggirava per la casa con la preoccupazione di non disturbare gli altri, faceva delle sfoglie col mattarello grandissime ed era  brava a cucinare, spendeva con parsimonia e quasi non indossava qualcosa di nuovo per paura di rovinarlo.
Forse questo suo modo di agire derivava dal fatto di avere passato negli anni giovanili una gran miseria, sempre da lei ricordata, era però una donna saggia, di gran cuore e dedizione, servizievole e pronta ad ogni rinuncia, spesso non mangiava il  suo pezzo di torta, lo metteva da parte, e io lo ritrovavo nella mia cartella di scuola. Amava leggere, nonostante fosse poco scolarizzata, romanzi d’amore e storie drammatiche.
Non era da tutti capita nel suo modo di stare appartata, quasi sfuggente, non si lamentava mai, anche se i malanni non le sono mancati, sapeva ascoltare e consigliare perciò la rispettavo.
Io l’ho apprezzata, capita e amata, forse più da grande che da piccola perché allora non ero in grado di valutare i tanti sacrifici di cui era stata piena la sua vita.

Si faceva il pane in casa e il giorno designato, al mattino presto, i miei nonni si alzavano e con il lievito preparato la sera prima, cominciavano a lavorare l’impasto con la cosiddetta  “grama”, una specie di impastatrice di legno spinta avanti e indietro con la forza delle braccia.
Preparavano dei pani fragranti, portati a cuocere al forno, che duravano tutta la settimana. Le merendine non esistevano, una valida alternativa erano fette di pane con olio e sale o burro e zucchero.
Il nonno Celso aveva un carattere solare, sempre allegro, raramente l’ho visto arrabbiato, ciarliero e servizievole, parlava reggiano perché era nato a Scandiano in una famiglia numerosa e povera. Poiché era il più piccolo mangiava sempre per ultimo, quindi  poco.  Alla maggiore età si arruolò nei carabinieri per sfamarsi.
Raccontava che un giorno passò a trovare sua madre la quale, disperata, lo implorò di andarsene perché non aveva niente da dargli da mangiare, nella sua famiglia vivevano in quaranta. Lui era ottimista di natura, vedeva in tutte le cose il lato positivo e infondeva sicurezza.
Quando venne ad abitare con noi, la domenica andava a messa alle dieci e mezza nella chiesa di S. Adriano e se incontrava il campanaro estraeva dal  taschino del gilè l’orologio per controllare l’orario.
Si offriva di aiutare, di andare a far compere, di portare la carriola col bucato, potevi chiedergli qualsiasi favore e lui con disponibilità te lo faceva.
Quando gli chiedevano: “Bertarel dove andev?” rispondeva scherzando: “A vag in dal Mantvan a pler la foia”.
Fischiettava e cantava sempre delle filastrocche che solo lui conosceva e le ha cantate fino alla morte:

Canta, canta, Nicolòvòt cà canta quand
an sò, quand a iéra
cin da fàsa, tòtti al
dàn am tulìven in
bràza; adès cà sòun
gnu piò grandèin,
tòtti al dàn al me
stan asvèin.

Purtroppo negli ultimi anni della sua vita aveva perso la memoria, non capiva ciò che faceva, ma la canzoncina non l’ha mai scordata. [...]

mercoledì 17 maggio 2017

SPILAMBERTESI DA RICORDARE / 7°: TERESA MONTI


(Lapide posta sulla casa dove visse e morì la Direttrice didattica Teresa Monti, via S. Adriano, 33.)



Una “scuola di vita” di fronte alla scuola: Teresa Monti


Nei giorni di scuola è tutto un pullulare di macchine che parcheggiano, scaricano i ragazzi e ripartono. Si tratta di un ampio piazzale, un parcheggio pubblico sul lato destro di via Marconi, che serve l’Istituto Comprensivo Severino Fabriani e la Scuola Materna Maria Quartieri. Da molto tempo era uno spazio senza denominazione. Per questo, con delibera n°. 10 del 17/02/2014, la Giunta Comunale delibera con voti unanimi “di denominare il Piazzale adibito a parcheggio, limitrofo al Polo Scolastico, “Piazzale Teresa Monti”, Maestra e Direttrice didattica (1879-1955), denominazione che si adatta perfettamente al luogo essendo il piazzale limitrofo al Polo scolastico del capoluogo”.
Ma chi era Teresa Monti?
Si era dedicata tutta la vita all’insegnamento dei giovani, soprattutto quelli economicamente svantaggiati. Alla sua morte, oltre a un lascito alla Casa di Riposo, donò alla Parrocchia la sua abitazione in via S. Adriano, 33. Con questa eredità la Parrocchia poté acquistare l’Asilo di via Marconi.
La grandezza d’animo di Teresa non si espresse soltanto nell’amore per l’insegnamento e nelle  donazioni. Lei, cattolicissima, personaggio pubblico e non attivista in campo politico, associò a questo valore anche un notevole coraggio: diede rifugio nella sua abitazione all’ex Sindaco socialista, Armando Sassatelli, che, dopo aver subito un violento pestaggio, era soggetto a continui attacchi, soprusi ed umiliazioni da parte dei fascisti. Anche quando Teresa Monti lo sistemò con la moglie e il figlioletto nel sottotetto della sua abitazione continuarono le vessazioni. Teresa mantenne l’accoglienza ad Armando nonostante i sassi e le pietre che venivano lanciati alle finestre di ogni appartamento della casa, rompendo vetri ed imposte, mentre nella notte voci maschili, interrotte da sguaiate risate, cantavano canzoni beffarde ed umilianti.
La titolazione della piazza e la lapide sulla casa che fu della Monti sono “l’albero dei giusti” che il paese ha piantato per ricordare l’esempio di questa concittadina.

mercoledì 10 maggio 2017

ROCCA DELLE MIE BRAME / 21: UN MISTERO IN ROCCA: IL TRUCCO (GIOCHI DA NOBILI)



(Prima parte) Non sapeva resistere ad un bicchiere di vino. Luigìn lo conoscevano bene gli osti, perché nei suoi vagabondaggi non ne trascurava una di osterie, il suo bicchiere era sempre pronto. Era cresciuto a lambrusco e carte. Anche il gioco lo appassionava; seduto al tavolo ne passava di tempo, tra partite e discussioni. A questi due amori pensava spesso mentre nella bottega aggiustava una sedia, realizzava o intarsiava un mobile. Non aveva dimenticato quando con lo zio, il capitano Giacinto Fabriani, era entrato per la prima volta in Rocca; sì, dopo era capitato lì per qualche rapido lavoretto, ma desiderava percorrerla con uno sguardo più attento. Era piccolo allora e tra le tante domande che gli si erano affacciate una in particolare gli era rimasta. Una stanza era chiamata “Trucco”: «Chissà quali artifici e magie vi si tramavano», aveva favoleggiato. Era rimasto un po’ deluso quando aveva imparato che il nome traeva origine dal gioco che allietava l’ozio dei nobili ed era praticato in quella sala. Si svolgeva sopra ad un tavolo circondato da sponde, dove i “Signori” si divertivano a far scorrere delle bocce: si diceva che fossero d’avorio, a volte anche di bosso. Quest’ultimo legno Luigìn lo conosceva, però non aveva idea di cosa fosse quell’avorio, e gli elefanti cosa c’entrassero; erano chiacchiere di cui non conosceva la verità, ma che stuzzicavano in lui la curiosità e la voglia di vedere con i propri occhi. Si diceva anche che d’estate, durante le feste, nei giardini, nel parco, il “Trucco” venisse portato all’aperto: era una consuetudine dei divertimenti dei nobili. In quell’aprile del 1770, la necessità di un falegname per aggiustare degli arredi fu l’occasione che Luigìn cercava. Guidato dal signor Alghisi girava per le stanze ed... eccola, quella del “Trucco”. Sedie, cassoni da letto, materassi, coperte, stoffe stavano per soffocare la sua ricerca: dov’era il gioco del “Trucco”?! Non c’è maggior disagio che la delusione dopo una lunga attesa. Individuò, però, un quadro della Vergine e due Santi in un angolo ed ecco, lì vicino, un tavolo! Forse quello che cercava? La base del piano sembrava importante, i piedi erano dorati, ma le sponde non c’erano, e nemmeno le bocce! Si rivolse ad Alghisi: era di quell’a-v-o-r-i-o che desiderava sapere! Ma gli elefanti no, e nemmeno le loro zanne, poteva immaginarseli descritti dalle parole un po’ troppo complicate del suo accompagnatore. Il percorso continuò, ma sempre con questo “elefante in testa”. Finalmente adocchiò qualcosa legato alla sua passione. Ed ecco in alcune sale tavolini da gioco coperti di damasco verde bordato di giallo! un “Tric Trac” di noce con candelabri per illuminare le partite dei giocatori e... tavolini da Tressette e da Primiera anch’essi rivestiti di quel raso verde! Che tavoli, che lusso, per questi nobili! Nelle osterie che frequentava Luigìn il legno di noce era sconosciuto, i pioppi del Panaro la facevano da padrone, e i bicchieri di Lambrusco vi lasciavano cerchi perenni a ricordare le allegre bevute in compagnia. (Arrivederci alla prossima puntata) (Notizie tratte da documenti originali e “condite” con un po’ di fantasia.)

mercoledì 3 maggio 2017

NUOVA RUBRICA / LA MEMORIA IN TAVOLA: LE RICETTE DI MARNA


Frontespizio del ricettario di Marna


Effettivamente siamo sommersi da programmi di cucina e consigli di ricette. Per questo non avevamo mai preso in considerazione di scriverne sul nostro sito. Poi abbiamo conosciuto Marna. Questa, “spilambertese doc”, da anni compila a mano un suo ricettario, in cui piatti della nostra comunità sono immersi nei ricordi legati ai momenti della loro preparazione e degustazione. Ne emerge quasi una ricerca del tempo perduto, un viaggio in una Spilamberto non solo gastronomica. Dunque, un aggancio al territorio e alla sua tradizione.
Nel frattempo Marna ha partecipato a lezioni tenute da Chef, incontrando i grandi della cucina. È anche sommelier.
La cosa più incredibile è che lei, italiana, trasferita in Svizzera, organizza corsi di cucina e serate di assaggi: si tratta in gran parte di cibi spilambertesi e modenesi, che vengono apprezzati tantissimo e riproposti in altri contesti dai partecipanti.
Insomma, nei palati di quei luoghi c’è un po’ di Spilamberto.
Occorre precisare che le ricette sono legate alle stagioni, alle feste e ad altro ancora, ed ognuna, ripetiamo, è scritta rigorosamente a mano e introdotta da un disegno dell’autrice e da altre illustrazioni che riuniscono i due aspetti “cucina e memoria”.

Arrivederci a presto!