mercoledì 25 ottobre 2017

IL GIGANTE SPINALAMBERTO “BERTO PER GLI AMICI” / 2 (seconda parte)

Le storie del “doppio”:
“Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde”,
raccontato da Giulia Lorenzoni
(seconda parte).


(Disegno di Fabiano Amadessi)


[...] «Una notte, all’improvviso, la casa venne scossa da un urlo tremendo. Corremmo tutti verso la fonte di quel suono straziante ma la porta del laboratorio era chiusa. Cominciai a prenderla a spallate fino a che il legno non crollò sotto il mio peso - ero giovane e forte! La scena che si aprì davanti ai miei occhi era incredibile e orripilante: il busto magro del dottor Jekyll usciva dalla pancia squarciata di un essere corto, storto e coperto di peli. Le gambe erano ancora intrappolate come se Jekyll stesse cercando di scappare dal ventre di un mostro! Tutti correvano e urlavano senza sapere bene cosa fare. Io mi chinai verso il corpo insanguinato e sentii il dottore che, con un filo di voce diceva: “l’acqua sta nelle rose, le rose, le rose, la marea”. Furono queste le parole che mi consegnò prima di morire».
«Non andai al suo funerale, c’erano troppi giornalisti. Era arrivata la polizia e avevamo dichiarato che la seconda vittima, quel corpo inspiegabile, era probabilmente l’aiutante del dottore, il Signor Hyde. Tuttavia nessuno era riuscito a confermare l’esistenza di quell’uomo misterioso. Andai in giardino a curare le piante e fu mentre innaffiavo le rose che trovai la lettera».
«La lettera? Che lettera? », chiesero i bambini quasi in coro.
«Il testamento del dottore».
Berto tirò fuori con cura la busta da una tasca e si mise a leggere:
«“Caro Berto, so che sarai tu a trovare questa mia lettera, tu che hai tanto a cuore i fiori. Io, invece, nel cuore avevo ben altro. Nella mia vita, ho sempre pensato che nelle persone si mescolano il bello e il brutto in parti diverse, impossibili da controllare. Bello e brutto, bello e brutto, lo senti? Come le maree. Come è possibile tenere a bada l’acqua che riempie un contenitore? Prima o poi quell’acqua sceglierà dove riversarsi. Io, Berto, volevo solo separare il buono dal cattivo, liberare l’uno dal peso dell’altro e lasciarli andare soli per la loro strada: puro male e puro bene, divisi. Così creai una pozione che poteva separare il bene dal male. Bevevo un sorso e diventavo Hyde: potevo uccidere e sbranare senza sensi di colpa e mi sentivo forte, libero. Ma poi questo mostro diventò più forte di me e la trasformazione avveniva anche senza che io bevessi la pozione. Vedi Berto, la violenza è come l’acqua, quando corre si porta via tutto” ».
I bambini ascoltavano zitti zitti.
«Vedete, il dottore si uccise per fermare la furia cieca di quell’uomo che dentro di lui correva indietro verso gli istinti più incontrollati. Hyde era una parte di Jekyll, una bestia feroce che, lasciata libera, avrebbe divorato tutto ciò che di umano c’era ancora nel buon dottore».
Berto si grattò di nuovo l’orecchio e quei tre peli che gli ricordano, ogni giorno, che la rabbia arriva come le maree, a dirci quanto male possiamo fare.

mercoledì 18 ottobre 2017

IL GIGANTE SPINALAMBERTO “BERTO PER GLI AMICI” / 2 (prima parte)

Le storie del “doppio”:
“Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde”,
raccontato da Giulia Lorenzoni
(prima parte).


(Disegno di Fabiano Amadessi)


A Berto quel giorno prudeva un orecchio. Continuava a grattarsi fuori e dentro come non capisse bene da che parte arrivava il solletico. I bambini lo guardavano senza sapere se ridere o rimanere  seri  fino a quando un temerario disse:
 «Ma Berto! Hai i peli sulle orecchie!».
A quel punto tutti si sentirono autorizzati a far smorfie di divertito disgusto. Berto cominciò allora ad accarezzarsi il lobo, come tranquillizzato dalla natura di quel fastidio.
 «Be’» disse, facendo ciondolare la testa «del resto discendiamo dalle scimmie che sono piene di peli». Fece una risata e prese a fissare nel vuoto cercando nella memoria. «Sapete, un tempo facevo il giardiniere per un famoso dottore, una persona per bene, tanto stimata da tutti, molto gentile. Si chiamava Jekyll e aveva una casa con un giardino, dove lavoravo io, e un laboratorio. A tutti noi domestici era vietato entrare nello studio dello scienziato finché un giorno venimmo informati che un collega del dottor Jekyll, il signor Hyde, avrebbe avuto libero accesso all’intera abitazione, compreso il laboratorio segreto. Una mattina, ci vennero a dire che la notte precedente una bambina era stata trovata nel vicolo picchiata a morte con straordinaria violenza. Il dottor Jekyll si mise le mani al volto, e uscì dalla stanza. Era un uomo molto, molto sensibile».
I bambini ora ascoltavano Berto senza più pensare ai peli.
«Da quel giorno in poi, il dottor Jekyll cominciò a passare sempre più tempo nel laboratorio, tanto che alle volte non lo vedevamo rientrare nemmeno la sera. Si notava solo una luce che rimaneva accesa nel buio dell’edificio. Ero molto preoccupato per il dottore tanto che una notte mi avvicinai alla finestra. Vidi una figura più piccola e curva di Jekyll che si aggirava da un tavolo all’altro trascinando i piedi come se le gambe fossero rigide. Si sentiva un sibilo strano come di qualcuno che fatica a respirare. Sentii un brivido lungo la schiena e me ne andai. Che quella figura fosse il misterioso signor Hyde? ». Berto ricominciò a grattarsi l’orecchio.
«Il giorno dopo, mentre portavo rami secchi nella spazzatura dietro casa, trovai un cane sgozzato sul marciapiedi».
«Ma chi lo aveva ucciso? », interruppe un bambino.
«In realtà non lo scoprimmo mai, ma vi posso assicurare che non era certo stato un uomo perché sul collo dell’animale c’erano i segni evidenti di denti aguzzi come quelli di una belva».
I bambini stavano in silenzio e i peli di Berto sembravano luccicare al sole.
«Seppellimmo il cane in giardino, davanti allo sguardo addolorato del dottore. Per una settimana la porta del laboratorio rimase sempre chiusa, poi un giorno, mentre innaffiavo le rose, il dottore si avvicinò. Il suo sguardo era magro e la sua voce un sussurro faticoso. Mi chiese se avessi mai provato tanta rabbia da voler uccidere qualcuno. E se avessi potuto farlo impunemente, lo avrei mai fatto?».
Berto si spulciò i peli dell’orecchio e rimase in silenzio per qualche secondo prima di ricominciare a raccontare.
«Mi disse, “vedi Berto, la rabbia è come la marea: prima o poi sale. E contro l’acqua non si può nulla”, e se ne andò sospirando».
Lo sguardo dei bambini si fece basso.
«Una notte, all’improvviso [...]

Arrivederci alla prossima settimana per la seconda parte.

mercoledì 11 ottobre 2017

LA MEMORIA IN TAVOLA: LE RICETTE DI MARNA / 4

Tortelloni di zucca


Pastello di Cristina Grandi

Massimo Bottura dice che la tradizione è importante, ma deve diventare occasione per andare avanti, non motivo di rimpianto. Sono d’accordo, ecco perché nella mia ricetta, per quattro persone, assieme a 3 uova, 240 gr. di farina 00, ho previsto 60 gr. di farina di semola di grano duro. La pasta sarà così più resistente alla cottura e più croccante.
500 gr. di polpa di zucca Mantovana o Marina di Chioggia, le mie preferite, aprono il ripieno. Si aggiungono 2 amaretti industriali, 70 gr. di parmigiano, 1 cucchiaio di sapore o di mostarda di mele Campanine, sale e noce moscata. Burro e salvia per condimento.
Ma veniamo alla preparazione.
La zucca lavata, senza picciolo, a spicchi, privata di semi e filamenti, viene cotta per un’ora nel forno a 180° in un cartoccio di carta alu. Si elimina l’eventuale liquido terminando la cottura senza chiudere il cartoccio; la zucca deve essere morbida; poi, separata dalla pelle, la polpa viene passata al setaccio. Si uniscono agli altri ingredienti gli amaretti ridotti in polvere con il mattarello. Il ripieno, pronto con un giorno di anticipo, si riposa in frigo. L’impasto, preparato con farina e uova, viene lasciato almeno mezz’ora a temperatura ambiente avvolto in pellicola da cucina. La pasta ottenuta viene poi stesa, ritagliata in quadrati di 5-6 cm. per modellare i tortelloni, e, mentre si procede alla loro cottura, in una larga e bassa padella si scioglie il burro, aggiungendo salvia finemente sminuzzata e un pizzico di sale. Prima di scolare i tortelloni mettere due cucchiai di acqua di cottura nel burro, e in esso si faranno saltare una volta pronti.
Nel piatto non può mancare l’accompagnamento del parmigiano.
Occorre fare attenzione alla consistenza della zucca poiché varia. Se la polpa è molto acquosa la si passa al setaccio e in un telo pulito si appende, così perde il liquido in eccesso.
Se invece è troppo soda, si sostituiscono 100 gr. di zucca con lo stesso quantitativo di ricotta. Questo accorgimento può essere utile anche per diminuire la dolcezza del ripieno, che non tutte le persone apprezzano. Per lo stesso motivo, mia madre aggiunge al ripieno della salsiccia cotta in un tegame antiaderente. Il grasso prodotto dalla salsiccia viene eliminato.
Quella volta in cui ho partecipato alla rassegna “Chef per un giorno”, a Campione, e ho cucinato i miei tortelloni di zucca, dopo averli saltati ho aggiunto gocce di aceto balsamico tradizionale. Il bis che tutti hanno fatto mi è sembrato un omaggio a Spilamberto.

La zucca sfornata sollecita tutti i sensi: il suo profumo, il suo arancio intenso. La cottura ha caramellato parte dello zucchero rendendo brillanti e ambrate le parti più sottili; queste sono le prime che tolgo, sono croccanti e saporite, per la loro consistenza non le utilizzo per il ripieno, non resisto e le mangio. Il sapore non è cambiato, è dolce mieloso, zuccherino... mi affiora il ricordo.
Da bambina spesso accompagnavo mia zia Rita a comprare frutta e verdura al chiosco di Alma, che sembrava appoggiato al Torrione. Con l’arrivo dell’autunno, oltre ai prodotti freschi, Alma vendeva cipolle, patate americane e fette di zucca cotte al forno; mia zia non mancava mai di acquistarne una per me, sapeva quanto mi piaceva! E in quella merenda c’era la felicità di stare con lei, la gioia di ricevere le sue coccole nelle notti trascorse a dormire assieme, ascoltando le sue favole prima di addormentarmi. Ho sempre pensato che fosse il mio angelo custode.
Ancora oggi, quando arrivo al numero 27 di via Obici, guardo la finestra, quella che era della sua cucina; mi sembra di vederla ancora lì, affacciata. Il sapore della mia merenda preferita è legato a questo ricordo.
La zucca, che matura a fine estate, in luogo buio fresco e asciutto si conserva fino a inizio primavera. È l’ideale per chi è a dieta perché con la sua compattezza sazia alquanto; inoltre 100 gr di zucca contengono solo 17 calorie.

mercoledì 4 ottobre 2017

CARAMELLE DALL’ARCHIVIO / 46: STRADA FACENDO

(Tratto del percorso su cui doveva transitare il Poppi e che affiancava il Canale del Diamante quando incrociava il Rio Secco, zona in cui si trovavano le proprietà dei citati fratelli Savani, sinistra fiume Panaro; località attuale: Ponte del Re.
Sezione di mappa presente nell’Archivio di Stato di Modena,
 Mappario Estense, Grandi Mappe, anno 1740.)


Un sussulto, uno scossone improvviso, capita spesso mentre si viaggia. La buca, le buche; ormai è un rosario di sobbalzi, lamenti di ammortizzatori, accuse da quello di fianco: “tannin schiv gnanc óna”. L’asfalto presenta spesso crepe sospette in prossimità dei canali di scolo laterali; a volte parte della strada è in fondo al fosso... e quel camion rovesciato nel terreno sottostante o qualche altro veicolo fuoriuscito dalla propria traiettoria.
Anche nella moderna Berlino ci si lamentava di “buche nelle strade” in occasione del recente consulto elettorale.

Andiamo in Archivio.
Maggio 1811.
Allora non c’erano macchine in circolazione, ma carri, legni si diceva.
Gaetano Poppi, incaricato dei trasporti dei nitri e delle polveri da Modena a Spilamberto, domanda all’Intendente che siano restaurate le strade: “La strada che conduce a Spilamberto essendo in diversi punti guasta e dirupata nelle sponde, particolarmente in faccia alla provana (intendi, con termine moderno, "carreggiata") delli figli fratelli Savani si è resa angusta per modo che si corre gran pericolo, passando con legni carichi di mercanzia o d’altro, di cadere in uno dei canali che la costeggiano come purtroppo è successo giorni orsono ad un povero vetturale che passava con carico di formentone. Il più delle volte anche i miei carrettieri hanno dovuto valersi dell’opera dei passeggeri per far sortire i bancali dalle buche o per sottrarli al pericolo di un ribalto. Incaricato dunque del trasporto a Spilamberto dei nitri e delle polveri, avuto riflesso (pensando) al valor grande dei generi, all’interesse mio proprio ed a quello della finanza, mi trovo in dovere di informarla del disordin, affinché rivolga alle autorità superiori la richiesta di pronto restauro alla strada, per evitare così qualunque disgrazia”.

Che ne dite?
Sembra che parli anche per noi.