lunedì 25 maggio 2015

CAPRICCI DIALETTALI / 1: SÀBET BASÓRA



Zirudela. Dal Quatr’Ari
s’inaviamm vers al Turoun
e, passati i Paninari,
as fermamm da Cumpagnoun

par studier a menadito
una moto ch’a gh’è lè,
un vecchissimo Moschito
fat da Nelson l’èter dè.

Scuert ch’al g’ha del ródi tondi,
se spustamm un poch piò in só,
fin al pordegh, quall ed Bondi,
e, edcò al mur, catamm Cucoll.

«Méi un Ciao d’na Kawasaki!»
«Méi un piat ed macaroun!»
«Mè am piasiva piò Don Bachi!»
«Mo al vein bianch coun i maroun…»

«La Pipiouna, vl’arcurdev,
ch’la vindiva el brustulin?»
«No, t’al giva t’et sbagliev,
qual l’è l’era Bamburin!»

Vest che an g’am piò da fumer
arivamm fin dal Paltein
e as fermamm a ciacarer
con Melotti e col Mistrein.

Superato il Bar Mercato,
pasè avanti al Farmacesta,
a rivamm tutto d’un fiato
fin al banch dal Giurnalesta.

A sintamm el nuvitè
che a gh’è ste da stamateina,
a guardamm river-partir
al Barboun in bicicleina

po’, finiti i commentari,
a magnamm na caramela
e a partamm vers el Quatr’Ari,
tuc e dai la zirudela.

(da Silvio Cevolani, Spilamberto Luogo Letterario, Mercatino di Via Obici, Spilamberto, 1998)

mercoledì 20 maggio 2015

CARAMELLE DALL'ARCHIVIO / 20: AS CATÀM DA LA MADUNÈINA


Ricordo di profumo: saranno rose?
Un mormorio di voci si spande nella tiepida serata di maggio; a tratti si interrompe e lascia spazio ad una sola voce, poi riprende: oh mia bela Madunina... no, non siamo a Milano, è la Madonninala Madunèina”, sormontata da una cupola a bulbo di Via Castellaro.
Il nome della via deriva da castrum urbis, il centro fortificato del paese, nome che troviamo anche a Modena e in altre città: è la strada che conduce alla porta nord dell’antica cinta muraria. Non era questo l’unico punto d’accesso al Castello, vi erano altre porte, a ovest e sud, e due ad est inglobate nella struttura della Rocca; naturalmente ognuna aveva i propri ponti levatoi.
Intanto continua il rosario e al gruppo di persone ai piedi della “Maestà” si aggiunge qualche ritardatario. La “Madonnina”, infatti, si trova al culmine di una colonna, restaurata nel 1991 da un nutrito gruppo di esperti e con il contributo della popolazione. La statuetta originale, probabilmente del Piccioli, è stata rubata; quella attuale è una creazione di Ascanio Tacconi.
Ci fu un momento in cui si voleva abbattere l’intera struttura, ma una sollevazione unanime ha impedito il misfatto. La parte muraria portante è stata solo spostata più in angolo, in sicurezza dal pericolo del traffico.
La popolazione del nostro paese ha dimostrato e dimostra sincera fedeltà ed attaccamento ad un simbolo: non c’è globalizzazione che tenga. C’è in essa il profondo desiderio che le cose di Spilamberto rimangano nel suo territorio.
Così maggio, con i suoi tepori e profumi, ci porterà ancora la piacevolezza rassicurante di quelle atmosfere, di quei mormorii e di quelle sentite preghiere ai piedi di quella Vergine che ha potuto restare a vegliare i suoi fedeli dalla nicchia in cui era stata riposta.

venerdì 15 maggio 2015

NOTIZIE DALL'ARCHIVIO / 13: II MEDIE - ULTIMA CLASSE IN USCITA DIDATTICA

Tra tassi e canali

«Un tasso incontra un altro tasso e gli dice : t’assomiglio».
La mattina ci avevano preoccupato le nuvole, che poi si sono dissipate per lasciare il posto a una calura che aumentava di minuto in minuto. Due ragazze, creato un ventaglio con dei fogli, si facevano vento e radunavano intorno a loro un gruppetto di ragazzi riuniti dal richiamo: «C’è l’aria condizionata!».
Si va per canali, dei tanti che scorrevano nella vecchia Spilamberto, ne toccheremo tre.
È l’ultima uscita legata agli incontri che mettono in luce la protoindustrializzazione di Spilamberto tra '500 e '600 ed i suoi monumenti.
Dopo la svolta, al termine di Via Pace, ci lasciamo alle spalle le macine del mulino, il terrapieno di casa Poletti,  l’edificio della Concia, la strada larga che non ha più necessità di ponti, ma che tradisce lo scorrere sotterraneo del Canale Diamante.
La coda femminile rimane sempre indietro, un po’ staccata. Le quattro ragazze  sono raggiunte di tanto in tanto dal messaggero  che le aggiorna sulle battute che sforna il gruppone. Una è quella del tasso.
Prima di una gimkana tra i resti lasciati da qualche cane, un ragazzo illustra quello che era il lavatoio pubblico, rifornito dalle acque del Diamante, ora in abbandono. Giungiamo, quindi, nella zona del Supermercato Coop.
Incontrando il vecchio mulino Rangoni, le chiuse sui canali Diamante e San Pietro, ed anche il “Canalino castellano”, si presenta l’occasione di citare la figura del “dugarôl”, l’addetto ai canali.
Tornando verso il centro di Spilamberto, con il sole che ormai ha dissipato le nuvole e con i ragazzi passati dalle battute dei “tassi” a quelle di “farsi i garretti”, rientriamo nel castrum, con la speranza concreta di aver sollecitato i ragazzi a cogliere una immagine di maggiore spessore del paese e della sua storia.
Ecco l’imponente Filanda (il vecchio “filatoio”), con alla destra gli uffici, gli alloggi per le operaie della montagna e quelli riservati all’allattamento; i magazzini e il ricordo dell’alto camino che disperdeva in un velo di fumo la durissima fatica delle “filandaie”. Sul retro le fogne, un tempo a cielo aperto, le “canole”; il muro interrotto del vecchio Palazzo Rangoni e il ricordo del teatro in legno che un incendio distrusse.
E poi “Lo Zucchero filato” che ci apre le porte con le foto delle operaie della Filanda; la lapide in ricordo dei Rangoni e gli errori nella didascalia illustrativa. Quindi un rapido sguardo ai resti delle antiche mura in fase di restauro: erano tre quando la Rocca diventò Palazzo, quella di mezzo merlata, le cui pietre, asportate per costruire le grandi cucine, generarono un contrasto mai risolto tra i Rangoni e il vecchio Comune.
Ormai è tardi, si rientra a scuola.
Questa volta ci lasciamo con la parola fine, fine degli incontri di questo anno scolastico 2014/'15.
Ci incamminiamo chiacchierando piacevolmente, volgendo un ultimo sguardo alla Rocca che sopporterà con pazienza il depositarsi del tempo... ci rivedrà il prossimo anno scolastico!

lunedì 11 maggio 2015

CARAMELLE DALL'ARCHIVIO / 19: LA VILLA TRA GLI ALBERI



La neve bianca sulle acacie ci parla di primavera. I più variegati colori percorrono il parco della villa. Sono piante e alberi imponenti, alcuni secolari; una quinta ideale che sembra timidamente voler nascondere l’antica costruzione alla vista dei passanti: Villa Galvani.
Innumerevoli secoli raccolgono testimonianze della nobile famiglia che l’abitava, le cui origini risalgono alla prima metà del Quattrocento.
L’elegante residenza, costruita nei primissimi anni dell’Ottocento, nel terreno chiamato dagli spilambertesi “Paradiso”, vide lo svolgersi di molte vite.
Lo stesso Canale San Pietro, che da sempre le scorre accanto, ricorda un tranquillo anziano centenario che, guidato dalla sua fedele domestica, approfittava del tiepido sole primaverile, lo stesso che oggi accarezza le folte acacie. Era il conte, e medico pediatra, Alberto Galvani, ultimo discendente della nobile famiglia che abitò la Villa. Morì nel 1984 all’età di 105 anni.
Una lunga esistenza che, egli, anziano, cercò di ricordare con testimonianze scritte sugli eventi che la segnarono. E non solo. Il Conte volle aggiungere una propria interpretazione all’opera di un suo illustre avo, Giovanni Galvani, provenzalista e filologo, già celebrato da studiosi e storici.
Tempra di scrittore, una mano riflessiva quella del conte Alberto, che soppesava eventi locali e nazionali.
A questo punto siete riusciti a localizzare l’antica residenza?
Le acacie, il Canale San Pietro e il terreno “Paradiso” sono stati indizi sufficienti?
Cerchiamo di aiutare ancora chi fosse incerto: se vi capitasse di passeggiare, imboccate Via Santa Liberata e al numero 299, sulla destra, vedrete quel folto verde che rende difficile ammirare l’amata residenza del Conte. Se poi siete spinti a muovere qualche altro passo, svoltate sulla destra e percorrete Via Cervarola; l’acqua tranquilla del San Pietro vi accompagnerà gorgogliando con discrezione, insieme ad un corteo di oche e germani reali.

giovedì 7 maggio 2015

CAPRICCI DIALETTALI / SPIGOLATURE - 1



A t’arvìs ma ant’arcgnòs

La nonna di uno spilambertese, nata a Riolunato, si trasferì  in Sudafrica.
Rientrata in Italia, fissò la residenza a Spilamberto. Con il ritorno sentì il desiderio di portare la figlia a vedere i luoghi dove era nata e aveva trascorso la sua infanzia.
Giunta a Riolunato incontrò una signora anziana del posto, che lei conosceva. Tentò di avviare un discorso e riandare ai comuni ricordi. Però la signora le precisò: a t’arvìs, ma ant’arcgnòs.
Si tratta di un modo di dire montanaro (certamente utilizzabile anche in pianura!), di sicuro una battuta ironica per tenere lontano gli scocciatori e risolvere una situazione fastidiosa.
La traduzione potrebbe suonare così: “mi ricordi qualcuno, ma non ti riconosco”.
L’episodio è realmente accaduto ed è raccontato in modo buffo da questo spilambertese che, riandando al ricordo, sottolinea l’arguta acutezza della battuta.