mercoledì 8 febbraio 2017

LE RECENSIONI DI NASCO / 3: "LA SQUILLA RAPITA"


“LA SQUILLA RAPITA”

di Lamberto da Spiniosilva (pseudonimo di Silvio Cevolani),
Mercatino di via Obici, CXXVII Fiera di San Giovanni,
Spilamberto, 24 giugno 1997.


La Maria Rosa li seguìa annotando
su un libriccino rosso di colore
i libri ch’essi andavano lanciando.
Seguiva Franceschini, il professore,
che da terra estraea, rassomigliando
un poco dei tartufi al cercatore,
le quadrate radici che poi lesto
sul nemico scagliava a lui molesto.” (Canto VIII, vv. 113-120)

Siamo nel 1996-97, l’autore tutti i giorni si recava a Bologna per lavoro. Il viaggio di andata e ritorno era interminabile e lui cercava un modo per occupare la monotonia del percorso. Un amico gli consigliò di seguire un corso di inglese. La proposta non lo attirava. Allora ebbe un lampo: la propensione per il motto di spirito, la facilità personale alla battuta umoristica, la familiarità con la storia locale e una conoscenza letteraria che comportava anche una consuetudine con il poema del Tassoni “La Secchia rapita”. Di qui l’idea di un poema, sì un poema eroicomico, legato alle conseguenze del furto della “squilla”( la campana) agli abitanti di S. Cesario da parte degli Spilambertesi, il tutto ambientato nel cuore del Medioevo.

Fu così che giorno dopo giorno l’autore riempiva il percorso Spilamberto-Bologna di ottave, cioè strofe di otto versi, tutte in endecasillabi, versi di undici sillabe.
Ma, visto che l’ideazione era tutta mentale, come trascrivere le idee immediatamente, evitando il rischio di dimenticarle? L’aiuto venne dai semafori rossi alla cui fermata Silvio trascriveva la singola ottava da lui memorizzata. Insomma, come dire, almeno uno al mondo che non imprecava al semaforo rosso.

Alla base del poema c’è, riferisce l’autore, il ritrovamento di “un curioso manoscritto in cui si narra di una contesa tra S. Cesario e Spilamberto a causa di una campana”.
L’espediente del manoscritto ha illustri precedenti; basti citare il Don Chisciotte o i Promessi Sposi, ma i “colpi di scena” e le “mirabolanti avventure” rendono singolare la lettura di quest’opera in cui la comicità surreale presenta in “uno spaccato medievale” veri personaggi della Spilamberto di oggi.

Nell’ottava citata all’inizio, troviamo che, mentre infuria uno scontro epico, compaiono: Maria Rosa, allora bibliotecaria, che svolge con scrupolo il suo lavoro; Franceschini, professore universitario di matematica, che usa le armi del suo mestiere, le radici quadrate. Per questo motivo attraverso i personaggi, la cornice medievale diventa una specie di ufficio anagrafe della Spilamberto di fine Novecento. I personaggi però non sono semplici nomi, ma sono proposti con caratteristiche che li rendono riconoscibili: o con riferimento al lavoro opportunamente medievalizzato, o elencando vizi e virtù naturalmente di dominio pubblico nel paese.

L’opera si potrebbe definire “un postmoderno spilambertese”, in quanto mescola, in modo spesso parodistico, varie tendenze letterarie tutte però riportate nell’ambito spilambertese, a testimonianza di un profondo attaccamento, stavamo per dire amore, per questo nostro paese.
Al di là del tono decisamente comico rimane da rilevare il possesso sicuro della lingua poetica: le rime sempre rigorosamente AB AB AB CC. Il verso endecasillabo viene utilizzato in tutta la sua gamma musicale, che, con notabile perizia tecnica, si spande e varia in tutto il poema.
Gli artisti spilambertesi hanno illustrato vari passaggi del testo, impreziosendolo ulteriormente. Altre meraviglie vi mostreremo nelle prossime puntate.

Eccovi l’ottava con cui inizia “La squilla rapita”:

Reggimi o Diva questo sacco aperto
nel narrar che io farò dello scenario
di sottil guerra e poi di scontro aperto
che provocato fu dal rio divario
che oppose i cittadin di Spilamberto
a quelli residenti in S. Cesario” [...].

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