mercoledì 21 febbraio 2018

PAGINE DI DIARIO / 24

Da “Ricordi di una ragazzina”, di Liliana Malferrari
(stampato nel dicembre del 2015).

Parte sesta


(Liliana dentro una bacinella: aveva 15 anni e si trovava su un terrazzo dell’albergo dove lavorava in Svizzera.)


[…] Passano gli anni. A 14 anni mi innamoro del mio Nini. Lui aveva 15 anni. Oggi, dopo 60 anni di matrimonio, siamo ancora assieme, anche con le nostre discussioni.
Questo fidanzamento fu molto burrascoso perché i nostri genitori fecero di tutto per dividerci. Mia madre mi mandò a servizio dalla famiglia Pederzini a San Pellegrino, così ci saremmo visti meno, ma noi facemmo di tutto pur di rivederci. Una sera, quando furono tutti a dormire, scesi giù dalla finestra della scala, ma non riuscii a risalire e dovetti andare a chiedere aiuto a una famiglia vicina. Un’altra sera lo feci entrare nella villa di nascosto, lo nascosi sotto un divano talmente basso che faticò tanto ad uscire, ma la nostra storia continuò fino a che, a 15 anni, andai a lavorare in Svizzera, con una figlia di mia nonna Faustina perché, essendo minorenne, non potevo girare da sola e non potevo lavorare, in più ero clandestina.
Andai a lavorare in un ristorante a Brunnen, nel cantone tedesco, senza sapere una parola di tedesco. Mi ricorderò sempre che arrivammo ed era già buio. In mezzo al ristorante c’era un tavolo rotondo con la cena pronta, ma quando guardai il piatto non riuscii a mangiare: era pieno di spaghetti conditi con insalata e zucchero. In compenso mangiai un pezzetto di cioccolato e andai a dormire, perché al mattino dovevo cominciare il lavoro. Dovevo aprire io il locale alle sei di mattina, pulire e servire le bevande ai clienti: birra, grappini, caffè e la prima colazione. La prima mattina venne ad insegnarmi la signora; lei era ticinese e parlava l’italiano: quando si è giovani si impara in fretta. C’era un vecchietto pensionato italiano, era il primo cliente e veniva tutte le mattine e fu lui che mi insegnò piano piano il tedesco. Alle otto scendeva la ragazzina che mi dava il cambio e io salivo in cucina per aiutare a preparare il pranzo, una cucina tutta diversa dalla nostra. Poi c’erano da fare le pulizie, lavare, stirare. Poi si cenava e si andava a dormire stanchissime. Si guadagnavano pochi franchi. Per fortuna quando servivi i clienti ti davano la mancia, che era obbligatoria.
Brunnen era un bel paese turistico con un bel lago: quella era la nostra passeggiata di tre ore domenicale. Noi italiani non ci volevano. Sulle porte dei locali c’erano dei cartelli con scritto “Qui non entrano cani italiani”. Poi venne anche mio fratello e così ci facemmo tanta compagnia. Lui mangiava e dormiva dove lavoravo io e quando si poteva si facevano lunghe passeggiate in riva al lago. Per fortuna la mia padrona mi voleva tanto bene e mi faceva qualche regalino. Non si stava male, ma neanche bene. […]

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