lunedì 13 aprile 2015

NOTIZIE DALL'ARCHIVIO / 11: CLASSI II MEDIE: LA MARCHESA BIANCA RANGONI E LA VERTIGINE DEGLI OPIFICI


Il Canale San Pietro che scorre dietro all’ex mulino Rangoni. Dalle sue acque traeva origine il “Canalino castellano”, utile alla lavorazione del “filo da seta” all’interno dell’opificio impiantato dalla marchesa Bianca.
(Foto: raccolta privata)


«Questi incontri servono a farci conoscere il paese», la ragazza con il velo è la prima a rispondere. «Ci vengono dette tante informazioni su Spilamberto, a casa ne parliamo con i genitori, le approfondiamo, poi le trasmetteremo ai nostri figli» dice un altro «è un modo interessante per alternare le lezioni frontali con uscite nel paese ».
Sono alcune considerazioni dei ragazzi sull’utilità dei nostri incontri e il loro giudizio è decisamente positivo su questa esperienza.
Oggi si parla di opifici, le attività industriali che Bianca Rangoni riattiva o impianta per la prima volta agli inizi del ‘600, avviando la proto industrializzazione di Spilamberto.
Questo argomento ci porta alla vertigine storica; un continuo andirivieni nel tempo tra ieri e oggi: il papiro, la carta, la corteccia vegetale e gli stracci. È così che parlando del “Follo della carta” si parte dalla raccolta differenziata di oggi, mentre un’idea della tecnologia di un tempo ce la danno le immagini dell’Enciclopedie di Diderot e d’Alambert di fine ‘700. Per di più il termine “folloni”, i martelli che pestavano gli stracci per ridurli in poltiglia utilizzabile, corrisponde ad un cognome di oggi.
È la vertigine della storia che ci pervade e ci rimanda ad un paese ricco d’acqua, acqua che ancora c’è e, anche se oggi camminiamo sopra di essa, un tempo muoveva i meccanismi della Cartiera, serviva la Filanda e la Concia delle pelli.
La foto di un tempo ci riporta il “Canalino castellano” scoperto, e si affacciano verso di noi i visi in posa di donne della metà del ‘900 che sciacquano i panni. E c’è pure la foto del ponte sul Canale Diamante che lambiva la “Concia”, controllato severamente sullo sfondo da un Torrione con la copertura di un tetto  che denuncia la datazione: la II Guerra mondiale non era ancora scoppiata.
La Filanda: matasse di seta, bruchi, bozzoli/filugelli, farfalle, 14 ore di lavoro di donne e bambini con le mani nell’acqua bollente, il “Pavaione”. C’è anche una brutta storia con l’immancabile vittima: il povero “Ugolino filatogliere”, bolognese, impiccato per vendetta. Si tratta dei segreti della produzione industriale, i problemi della concorrenza e ... di nuovo il presente: lo stesso capita con le produzioni della  Apple e la ricetta della torta Barozzi di Vignola.
Un ragazzo svela subito dove si trova la foto che ritrae donne al lavoro nella Filanda, sotto gli occhi di un burbero padrone. Lo “Zucchero filato”, il nome del bar, richiama suggestivamente l’uso a cui era adibito il locale. Il mutamento che ha apportato la storia è richiamato da una piacevole traccia visiva.
Bianca ha riattivato anche la “Concia delle pelli”. Ci si sofferma tra l’altro, oltre che sulla tecnica di lavoro, anche sulle terribili condizioni igieniche a contatto con le vasche, la puzza, il salnitro e le “Gride”, che di quest’ultimo proibivano la vendita al di fuori del “Castello” e della sua “Giurisdizione”.
Una ragazza ci informa che vasche simili per la lavorazione delle pelli le ha viste in Marocco. Immediatamente una diapositiva, nella lavagna interattiva, conferma ed illustra il suo commento.
«È sufficiente consultare i documenti e studiarli per ricostruire la storia? ».
Rivolgiamo la domanda ai ragazzi  sul finire dell’incontro.
«Occorre anche immaginazione, creare ipotesi, individuare i significati; controllare l’attendibilità dei documenti: veri o falsi? Rivolgersi, inoltre, a più fonti, chiedere anche ai nonni. Soprattutto: cercare e approfondire sempre».
Sono queste le prime risposte degli alunni, troncate, purtroppo, dal suono della campanella. Non sembrano bastare: il futuro ci offrirà l’opportunità di riparlarne.

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